Il voto all’Onu di venerdì, che restituisce dignità internazionale ai palestinesi, non incide sui programmi israeliani, né attenua l’orrore in corso a Gaza come in Cisgiordania. Si pietrifica, però, l’isolamento internazionale di Tel Aviv e dell’America di Trump, con la Cina che migliora la sua reputazione a livello planetario e l’Europa che finalmente torna in scena.
L’accelerazione degli eventi è tumultuosa, i segnali si succedono, la tensione resta altissima, il racconto dei fatti si piega alla propaganda che distorce, nasconde o al contrario esalta i fatti. Finalmente, però, dopo mesi di inerzia e di sconcerto, nella maionese impazzita provocata dalla presidenza Trump, qualcosa succede e tiene conto delle guerre in corso - quindi naturalmente dell’Ucraina - e della destabilizzazione che ha precipitato i mercati nel caos.
A New York, l’Onu oramai agonizzante - per espressa volontà dell’attuale amministrazione della Casa Bianca - esprime un sussulto e punisce sia gli Stati Uniti, sia Israele nel parallelo delirio di potere che offende il diritto è l’umanità. A Strasburgo, la presidente della Commissione, Ursula Von del Leyen - sul filo del timeline e in un clima di contrasti - ha tuttavia fatto appello all’orgoglio dell’Unione Europea per non consegnare all’oblio il sogno di una soggettività politica. A Pechino, si è cementato un fronte anti-occidentale, che sta crescendo ma che voleva invece essere solo alternativo e multilaterale; mentre nelle capitali europee, tra cui Roma, la società civile prova a ragionare di percorsi convergenti per non subire una catastrofe, restituendo al vecchio continente il ruolo strategico, che irresponsabilmente si spreca.
Al Palazzo di Vetro, in realtà, non si è presa alcuna risoluzione. Sono stati semplicemente aperti i lavori della sessione plenaria, che si terrà a partire dal prossimo 22 settembre, fissando l’ordine del giorno. La Dichiarazione di New York è il documento promosso dalla Francia e dall’Arabia Saudita, che sostiene la soluzione «due popoli, due stati», con la condanna sia degli attacchi di Hamas del 7 ottobre, sia degli attacchi di Israele contro i civili a Gaza e contro le infrastrutture civili, oltre all’assedio e la riduzione alla fame. In pratica, al di là della ricerca di una soluzione per chiudere il conflitto (dopo il quale si è immaginata «una missione temporanea di stabilizzazione sotto l’egida dell’Onu»), si è arrivati di fatto a quel riconoscimento mancato della pronuncia della Corte di Giustizia internazionale, che nello scorso luglio aveva giudicato «illegittimo e dunque illegale l’assedio imposto da Israele alla Striscia di Gaza». Decisamente troppo, per chi pretende l’impunità. Non importa che il voto all’Onu avrebbe un valore puramente simbolico, che non vincola, né che faccia tornare indietro la storia.
Il presidente Netanyahu l’ha definito una «vergogna», aggiungendo che «non ci sarà mai uno stato di Palestina, perché è tutta terra nostra». D’altra parte, le forze armate israeliane occupano oramai militarmente Gaza, quasi per intero e ogni giorno vengono sfollate decine di migliaia di palestinesi «volontariamente», come scrive la propaganda israeliana, senza alcuna prospettiva o destinazione; in parallelo, va avanti il progetto «blocco East1», un corridoio disegnato già negli anni ’90 a est di Gerusalemme, che prevede la costruzione di quasi 3500 case per i coloni israeliani, gli stessi, che da mesi bruciano i campi e i villaggi palestinesi in Cisgiordania, con l’appoggio delle forze armate; per non parlare dei rendering di cattivo gusto, creati con l’intelligenza artificiale, che hanno disegnano riviere da sogno sul mare insanguinato di Gaza. Eppure, secondo le previsioni, ai 147 paesi che già riconoscono la Palestina, se ne aggiungeranno altri. Ad esempio, il Canada, il Belgio, l’Australia, ma anche il Portogallo, la Finlandia, il Regno Unito. Ci sarà l’attesissimo intervento di Trump il 23 settembre e - pare - una sorta di ansia per l’incertissimo percorso e l’esito, benché tardivo e con motivazioni sottostanti eterogenee, quasi che il vento che gonfia le vele della FreedomFlottilla umanitaria in viaggio verso Gaza, sia arrivaton fino a New York.
Sull’altro fronte, pesanti al pari delle bombe russe, cadono le parole finalmente incisive della presidente della Commissione, Ursula Von del Leyen (ancora sbiadita invece la posizione europea sulle misure da prendere per fermare Israele) che ha parlato di «un muro di droni» per proteggere il fianco est dell’Unione, oltre ad un nuovo pacchetto di sanzioni a carico della Russia, accogliendo le indicazioni, arrivate dai Paesi baltici e dalla Polonia e nel timore non infondato di un futuro attacco. Rileva, che nel lungo discorso sullo stato dell’Unione, un discorso applaudito e contestato, la leader europea abbia finalmente interpretato la necessità di consolidare il progetto comune, andando oltre le burocrazie e le ambiguità, puntando sull’innovazione e sui servizi, con le risorse che servono, in una visione competitiva e di valori ritrovati «per scrivere da soli il nostro destino e lottare per il nostro futuro», laddove, «la nostra Unione è essenzialmente un progetto di pace». Tra le critiche più marcate al discorso, è stata sollevata la mancanza di consapevolezza dell’attuale irrilevanza politica dell’Europa. E allora, quale sarebbe l’alternativa? Dopo una storia lunga 80 anni, tra straordinari successi e fallimenti, si rinuncia?
Sarà naturalmente indispensabile, però, un cosiddetto cambio di paradigma: il progetto europeo deve uscire dalle stanze di Bruxelles e tornare ai cittadini. Le società civili, ricche della propria diversità in una storia condivisa, forte di radici comuni, devono poter tornare a declinare l’Unione sui nuovi bisogni accanto ai propri desideri, attingendo alle passioni. In Italia e non solo, si stanno moltiplicando gli eventi e i momenti di riflessione sul futuro possibile dell’Europa, che è stata e potrebbe tornare ad essere territorio d’incontro e di confronto in questo tempo polarizzato, aggressivo e astioso, che non fa sconti. Domattina, per esempio, l’appuntamento si terrà a Roma, all’Università Lumsa. Tema: «Progetto per un Europa che guarda al mondo». Ovvero, ragionare della materia che può restituire corpo ai sogni.