I dazi di Trump potrebbero essere la prova del nove per capire se la corsa della «locomotiva Sud» saprà resistere alle avversità: all’inverno demografico e alla fuga delle competenze, in particolare. È un test che non si gioca soltanto sui numeri, ma sulla tenuta complessiva. Il Mezzogiorno dovrà dimostrare la capacità di combinare la crescita con la coesione; il capitale umano con il capitale sociale. Il Sud ha dimostrato che la sua vitalità non può ritenersi una fiammata passeggera provocata dal rimbalzo post-pandemico.
Tra il 2019 e il 2023, il Pil della Puglia (+6%), quello della Campania (+5%) e la media del Sud (+3,7%) sono cresciuti più della media nazionale (+3,5%). Dal 2021 al 2024 gli occupati nell’ICT meridionale sono aumentati del 30% (contro il 13% del Centro-Nord). La Campania ospita il 12,4% delle startup innovative italiane. Napoli e Bari formano ingegneri che sanno far dialogare semiconduttori e rinnovabili, aerospazio e agroalimentare. Ma se la locomotiva tira, i vagoni posteriori sbandano. L’Istat prevede che il Sud perderà quasi tre milioni e mezzo di abitanti entro il 2050, e otto milioni entro il 2080. Famiglie con meno figli, coppie che scelgono di non averne, solitudine crescente. Nel 2023 il numero di italiani emigrati è salito. Il Sud ha contribuito in misura rilevante. Nel solo 2023, 55 mila meridionali sono partiti per l’estero. In grandissima parte si tratta di under 35. Li formiamo e li salutiamo, senza riuscire a trattenerli o a sostituirli con nuovi talenti. È il paradosso del meridione di oggi: crescere e innovare, ma senza rigenerarsi.
Su questo quadro già critico si abbattono i dazi di Trump. Le nuove tariffe, insieme alla svalutazione del dollaro, potrebbero mettere a rischio fino a 20 miliardi di export e decine di migliaia di posti di lavoro in Italia. Il Centro-Nord subirebbe l’urto maggiore ma, secondo Svimez, il rischio per il Sud è più insidioso. Qui le esportazioni verso gli Stati Uniti sono minori, ma concentrate in poche filiere strategiche che non possono permettersi di frenare proprio ora. Le contromisure, per questo, dovrebbero correre su due binari. Il primo è interno: investire in produttività grazie alle tecnologie emergenti - automazione intelligente per le PMI, manutenzione predittiva nell’industria, analisi dei dati e servizi digitali nel turismo - affinché si produca di più e meglio. E si attenui anche l’impatto del calo demografico sul mercato del lavoro. Oggi, però, in Italia l’uso dell’IA nella microimprese resta sotto la media europea e nel Mezzogiorno è ancora più basso. Servono perciò come il pane interventi sull’alternanza scuola-lavoro, l’orientamento e il placement, la formazione continua, il trasferimento tecnologico tra università e imprese.
Il secondo binario è la geopolitica: fare del Mediterraneo una piattaforma alternativa alla Mitteleuropa, ancor oggi appesantita dal rallentamento tedesco e dall’esposizione al mercato americano. L’Italia, con una dipendenza dagli Usa di circa il 10% dell’export, potrebbe assorbire il colpo proprio grazie al Meridione. Nel primo trimestre del 2025, il Sud e le Isole hanno guidato l’export nazionale (+9,8%), il doppio del Nord (+4,2%). Il Mezzogiorno è già un hub dell’economia del mare e delle rinnovabili, ma può diventare lo snodo dei flussi euro-africani: porti, logistica, eolico offshore, agro-sostenibilità. Se il Sud saprà valorizzare il capitale umano, agganciare grandi investimenti infrastrutturali, e definire una strategia industriale coerente sfuggendo alla retorica del «piccolo è bello», la corsa potrà continuare. Certo, non bisogna nascondersi che la spia del carburante sta già lampeggiando. E se la locomotiva si ferma, l’intero convoglio rischia di deragliare.