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Una semina generosa per la speranza di un futuro nuovo

 
Gino Dato

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Gino Dato

Una semina generosa per la speranza di un futuro nuovo

La nostra è più una società di seminatori che di raccoglitori? E cosa è preferibile? Che si diffondano i fondatori che non si risparmiano nel gettare il seme di nuove civiltà? Oppure gli edificatori, freddi nei loro calcoli?

Martedì 24 Giugno 2025, 13:00

La nostra è più una società di seminatori che di raccoglitori? E cosa è preferibile? Che si diffondano i fondatori che non si risparmiano nel gettare il seme di nuove civiltà? Oppure gli edificatori, freddi nei loro calcoli?

Gli interrogativi si susseguono dopo l’ultima uscita di papa Leone XIV che, da buon comunicatore, mentre tesse la tela diplomatica parla con semplicità preferendo metafore e immagini ai racconti pullulanti di costruttori troppo razionali e intellettuali. E nel seguire questo metodo «poetico» lancia la parabola evangelica del buon seminatore, richiamando anche un quadro di Vincent Van Gogh, Il seminatore al tramonto, in cui le spighe biondeggiano mentre all’orizzonte infuoca il sole e il contadino avanza tra i campi.

Sicché, dopo i ponti, richiamati dal pontefice proprio nelle sue prime parole il giorno in cui è apparso dal balcone di piazza San Pietro, è la volta del seme. Perché una società che va verso una palingenesi deve rappresentare quello che le manca cominciando dalle origini feconde della vita stessa.

E così, appunto, il pontefice ha prima schizzato una società ideale che costruisce ponti e non muri e barriere, come è accaduto nel nuovo secolo, ha poi spennellato altri colori alla Terra richiamando i fattori che segnano il successo di un individuo e ne preservano la laboriosità: di sicuro il seme buono, il buon contadino ma anche il terreno fertile.

Un mondo ricco di seminatori, certo, è una società rurale di quelle che probabilmente non piacciono ai contemporanei, abituati come sono a preferire al seme le piantine, a colui che sparge la vita colui che raccoglie la prima vita. Tutto, poco e subito, con la frettolosità e la ripetitività delle prassi industriali.

«Dio è fiducioso e spera che prima o poi il seme fiorisca», annota L eone XIV. «Egli ci ama così: non aspetta che diventiamo il terreno migliore, ci dona sempre generosamente la sua parola. Forse proprio vedendo che Lui si fida di noi, nascerà in noi il desiderio di essere un terreno migliore. Questa è la speranza, fondata sulla roccia della generosità e della misericordia di Dio».

Il principio vincente, allora, in un mondo che preferisce la distruzione del fuoco e lo spettro delle rovine, i costruttori che si fidano più delle previsioni e del calcolo, è quello dell’amore con cui noi dovremmo dedicarci a nuove imprese.

Ma a vincere dovrebbe anche essere il principio di generosità, come fa quel contadino della parabola che non risparmia e non calcola quanto seme getta confidando nel terreno che migliori, nella sorte che l’aiuti. In un mondo di popoli in conflitto che avanzano la primogenitura del proprio dio, che non riesce a tacitare il clangore delle armi, che si abbevera del fiele dell’odio, che sprofonda e marcisce nell’indifferenza, la semina generosa non è una scelta religiosa o laica, è semplicemente la speranza per un futuro nuovo.

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