Sabato 06 Settembre 2025 | 12:26

Dazi, guerre e coltelli. È già arrivata la «tempesta perfetta»

 
Lino Patruno

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Lino Patruno

Dazi, guerre e coltelli. È già arrivata la «tempesta perfetta»

Due guerre che invece di andare verso accordi di pace vanno sempre più verso accordi di guerra

Venerdì 04 Aprile 2025, 12:55

La tempesta perfetta. Seguire giornali o tv in questi giorni è molto meno incoraggiante dell’incontro con un serial killer. Due guerre che invece di andare verso accordi di pace vanno sempre più verso accordi di guerra. Dazi che scatenano un’altra guerra non con i nemici ma con gli alleati. Ragazzini da scuola media in giro con coltelli pronti a colpire al primo incontro. Un’altra ragazza ammazzata da un compagno di università che non gli sorrideva, e una uccisa e gettata in un dirupo con una valigia. Medici e infermieri barricati negli ospedali. E scuole in cui un cattivo voto o un invito a impegnarsi sono il via libera al pestaggio dell’insegnante. Un investimento di 450 milioni in Puglia che si perde perché c’è chi dice «no» a qualsiasi cosa si muova. Un palazzo che crolla a Bari e tanti altri a rischio perché costruiti più con la sabbia che col cemento. E un’altra estate che si annuncia più calda di quella più calda di sempre e con acqua altrettanto più scarsa di quella più scarsa di sempre. Non capiamo cosa succeda. E tra panico e paura ci chiediamo cosa altro dovrà succedere che non sia finora successo.

Che tutto questo sia coinciso con l’irruzione di un Trump a gamba tesa, non bisognerebbe ammetterlo per autotutela verso un Trump cui dare più spago di quanto ne meriti. Eravamo nell’era a.T., ora siamo in quella d. T., da «avanti Trump» a «dopo Trump». Arrivatoci addosso più con villania da saloon del West che con diplomazia. I dazi con l’accusa all’Europa di aver «fregato» un’America che l’Europa l’ha sempre colonizzata e non solo con le sue CocaCola e i suoi McDonald’s. I dazi dell’America contro un’Europa in cui le multinazionali della Silicon Valley hanno fatto più profitti di interi Stati senza pagare un euro di tasse. I dazi contro un’Europa accusata di derubare con i suoi prodotti il Paese più ricco del mondo capace di consumare più della sua ricchezza. I dazi contro un resto del mondo colpevole di aver accolto e tollerato multinazionali americane a caccia di lavoro povero e di regole zero. E dazi che ora vorrebbero riportare in America quelle manifatture che nessuno aveva costretto a espatriare per andare a sfruttare gli altri.

Che in una guerra commerciale come quella che si apre ci possano essere vincitori e vinti, è come ritenere che la Terra sia quadrata. E che i dazi possano essere un mezzo per cambiare gli equilibri di una situazione a favore dell’uno o dell’altro, è meno probabile di un Salvini che parli come un gentlemen inglese. Una guerra commerciale è una distruzione di valore per tutti, come il crollo delle Borse in questi giorni dimostra. Una perdita di lavoro e di produzione sia per chi la scatena sia per chi reagisce. Tranne che per chi possa approfittarne per inondare i mercati di suoi bassi costi, anche se nemmeno una Cina sarebbe in grado di imitare un whisky americano. Dazi mezzo arrogante e sboccato per porre rimedio a un debito pubblico americano ormai incontrollato. E che solo la residua forza del dollaro tiene in piedi anche se si avanzano minacciose monete elettroniche, che sono più rassicuranti di una malattia incurabile. Una delle quali (e fruttuosissima) è stata dallo stesso Trump istituita contro la moneta ufficiale del suo Paese. Un delirio.

Si grida nel mondo (e in Italia soprattutto) a una pace comunque, senza rendersi conto di quali focolai di guerre future quel «comunque» lascerebbe accesi. Una pace trumpiana che trasformerebbe l’aggressore in aggredito in Ucraina. E che sarebbe invece più urgente non per far tacere le bombe ma per spartirsi il mondo come se fosse un malloppo, nel quale oggi è compresa una Groenlandia per l’uno e domani (chissà) una Lituania o una Lettonia per l’altro. Una pace tipo l’appeasement di una ottantina di anni fa quando al posto di Putin che vuole il Donbass c’era Hitler che voleva i Sudeti. Allora non pare che andò bene. E una pace a Gaza per farne una Miami turistica liberandola dal fastidio di due milioni di martoriati che francamente pur con tutti gli sforzi non si riesce ad ammazzare tutti. E con la necessità di sicurezza (anche informatica, economica e sociale, non solo militare) dell’Europa che viene chiamata sommariamente «riarmo». Specie in Italia, che come spesso nella storia continua a non sapersi da che parte sta, certo non quella della lealtà.

Aggiungici gli accoltellamenti pensando ai nostri figli e nipoti. Le nostre figlie minacciate dal primo pretendente deluso. Le nostre scuole e i nostri ospedali non più considerati sacrosanti ma ostili, più i terremoti «e se domani ci fosse da noi?». E vedi se puoi dare ragione al vecchio saggio Giambattista Vico e al suo «paion traversie, ma sono opportunità».

(PS. La tempesta perfetta è stato un film del 2000 su un naufragio in Nord Atlantico a causa di una serie di incroci meteorologici mai più ripetibili nella storia. Almeno così pare).

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