C’è un movimento silenzioso ma crescente che attraversa il mondo della ricerca. Negli Stati Uniti, storica locomotiva dell’innovazione globale, si registrano segnali preoccupanti: tagli a enti di eccellenza, disinvestimenti in sanità pubblica, scelte che allontanano la scienza dalle priorità di governo, dichiarazioni e comportamenti delle autorità che mettono in dubbio addirittura il metodo scientifico.
Ma se da un lato c’è chi chiude laboratori e spegne traiettorie di ricerca, dall’altro c’è chi può scegliere di accendere nuove possibilità. L’Italia - e con essa l’Europa - ha oggi una straordinaria opportunità: diventare terra di accoglienza per la conoscenza in fuga. Non parliamo di un gesto simbolico. Parliamo di elaborare e proporre una strategia concreta per rafforzare il nostro sistema universitario, generare valore economico, far crescere l’occupazione qualificata e costruire una società più giusta e sana.
Il momento è adesso. Gli illustri scienziati Ilaria Capua e Roberto Battiston lo hanno già sottolineato con forza: non possiamo restare spettatori. Di fronte all’arretramento scientifico della più grande potenza economica mondiale, serve una visione. Serve un piano. Potrebbe chiamarsi «ReBrain Europe», un progetto ambizioso e lungimirante, complementare al «ReArm» europeo per la difesa, che metta la scienza al centro della nostra politica industriale e culturale. Un piano per attrarre ricercatori e ricercatrici dall’estero, riportare a casa i nostri cervelli oggi dispersi, trattenere e valorizzare chi ogni giorno, tra aule e laboratori, costruisce progresso.
In un Paese che invecchia e fatica a trattenere i suoi giovani, investire nella conoscenza è una strategia di sopravvivenza economica e sociale. Il tanto citato brain drain può trasformarsi in brain gain se sapremo creare un contesto attrattivo, stabile e ambizioso. Non basta aprire le porte: serve garantire un orizzonte di dignità - anche economica - per chi sceglie di fare ricerca.
L’Italia ha le carte in regola per riuscirci. Un sistema universitario capillare e di qualità, un tessuto imprenditoriale vivace, una capacità di connettere sapere umanistico e innovazione tecnologica. Alcune città, come Milano, hanno già dimostrato quanto possa essere fertile l’alleanza tra università, salute, impresa e visione pubblica. Ma è l’intero Paese che può e deve raccogliere questa sfida. Le Scienze della Vita, l’intelligenza artificiale applicata alla medicina, le tecnologie per la salute, la ricerca ambientale non sono solo settori produttivi: sono le fondamenta di una nuova crescita. Inclusiva, equa, sostenibile.
Se gli Stati Uniti voltano le spalle alla scienza, l’Italia può scegliere di accoglierla, proteggerla, promuoverla. Come ha ricordato più volte anche il Presidente Mattarella, sapere, libertà e innovazione devono tornare al centro della visione politica. Non per retorica, ma per necessità. In un’epoca in cui la verità è fragile, la scienza è un baluardo. In un’economia che cambia, è un motore. In una società disorientata, è una bussola. L’Italia può guidare questa transizione. Ma deve farlo ora. Con coraggio, con fiducia, con ambizione.