Sabato 06 Settembre 2025 | 06:46

Le implicazioni economiche del riarmo Ue

 
Stefano Marastoni

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Stefano Marastoni

L’Unione alla ricerca dello spirito europeo

Il piano «ReArm Europe», lanciato dalla Commissione Europea per rafforzare le capacità di difesa dell'Unione, presenta rilevanti implicazioni economiche e industriali, al di là delle valutazioni di carattere politico ed etico

Venerdì 21 Marzo 2025, 14:09

Il piano «ReArm Europe», lanciato dalla Commissione Europea per rafforzare le capacità di difesa dell'Unione, presenta rilevanti implicazioni economiche e industriali, al di là delle valutazioni di carattere politico ed etico.

Uno degli aspetti più significativi riguarda la decisione di escludere la spesa per la Difesa dal calcolo del rapporto deficit/PIL, consentendo agli Stati membri di espandere i propri bilanci militari senza incorrere in sanzioni per deficit eccessivo. Tuttavia, questa scelta risulterà indifferente per le valutazioni delle agenzie di rating (Moody’s, S&P, Fitch, DBRS), le quali non sono vincolate ai parametri dell’UE e che, pertanto, considereranno il nuovo debito militare nel calcolo della sostenibilità del debito pubblico. Anche se il deficit ufficiale risultasse inferiore, il debito complessivo aumenterebbe, incidendo sulla capacità di ciascun Paese di rispettare i propri obblighi finanziari.

Se l’incremento del debito non fosse accompagnato da una crescita economica proporzionata, il rischio di un declassamento del rating sarebbe concreto, soprattutto per Paesi con elevato debito pubblico come Italia, Grecia e Spagna. Viceversa, se la spesa militare stimolasse l’industria della Difesa attraverso ordini interni e sviluppo tecnologico, l’impatto potrebbe risultare persino positivo.

Tuttavia, il contesto economico attuale - alti costi energetici e carenza di materie prime - rende poco conveniente un ampio riarmo in questa fase. Sarebbe più opportuno posticipare tali investimenti alla fine del conflitto in Ucraina, quando i flussi energetici potranno essere ripristinati a condizioni più vantaggiose. Un altro aspetto critico è il costo crescente degli armamenti, più che raddoppiato rispetto al 2021, richiedendo oggi uno stanziamento molto più elevato per mantenere lo stesso livello di equipaggiamenti.

Un ulteriore rischio riguarda la destinazione della spesa militare: se gli investimenti fossero destinati all’acquisto di armamenti dagli Stati Uniti, il beneficio economico per l’Europa sarebbe nullo. Del resto, non va dimenticata la pressione dell’Amministrazione Trump affinché i Paesi europei incrementino gli acquisti di prodotti per la Difesa «Made in USA» in cambio della riduzione dei dazi commerciali. Attualmente, le importazioni militari europee dagli Stati Uniti sono aumentate di oltre il 30% dal 2022, segno di una crescente dipendenza dall’industria bellica americana.

Ma anche ipotizzando che la spesa militare venga indirizzata verso prodotti europei, è essenziale valutare quale sarà il reale impatto per il sistema produttivo italiano. Il rischio è che le risorse stanziate favoriscano solo alcuni Paesi UE, senza ricadute significative sull’economia italiana. Per massimizzare il ritorno industriale, gli investimenti dovrebbero essere orientati verso tecnologie integrate con l’industria civile, generando avanzamenti tecnologici e sviluppo di settori produttivi innovativi. Storicamente, molte delle più importanti innovazioni tecnologiche — internet, GPS, materiali avanzati, droni, intelligenza artificiale — sono nate dalla ricerca militare e poi applicate a settori civili.

In conclusione, un aumento della spesa militare può generare benefici economici solo se ben pianificato e destinato all’innovazione dell'industria italiana, evitando la dipendenza da fornitori esteri.

Inoltre, la vasta letteratura empirica esistente ci ricorda che gli investimenti in infrastrutture, istruzione e sanità offrono rendimenti economici e sociali nettamente superiori, rendendo prioritario un bilanciamento efficace e sostenibile delle risorse pubbliche.

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