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Dal Veneto alla Puglia, l’orrore dei femminicidi «unisce» le due Italie

 
Enzo Verrengia

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Enzo Verrengia

Dal Veneto alla Puglia, l’orrore dei femminicidi «unisce» le due Italie

Quella di Filippo Turetta che ascolta imperturbabile la sentenza con cui viene condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin non è un’immagine di «semplice» distacco, indifferenza e colpevole introiezione, bensì di chiusura

Giovedì 05 Dicembre 2024, 13:26

Quella di Filippo Turetta che ascolta imperturbabile la sentenza con cui viene condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin non è un’immagine di «semplice» distacco, indifferenza e colpevole introiezione, bensì di chiusura. A cosa? A tutto. Al prossimo, alle persone cui ha sottratto la ragazza uccisa, al mondo. E riassume una caratteristica antropologica di certe zone del nord.

Un indispensabile manuale di approccio alle latitudini padane è Pianura, di Marco Belpoliti, che ad un certo punto, forse suo malgrado, dà una forte traccia lessicale del carattere prevalente: «Uno studioso americano ha spiegato che la parola “foresta” viene dall’avverbio foris, “fuori” (…) Così il verbo forestare indica l’azione del “tenere fuori”».

Brenno Neumair, di Bolzano, sconta la stessa pena di Turetta per avere assassinato entrambi i genitori due anni fa «con piena coscienza e volontà», secondo la sentenza, che esclude il «grave disturbo narcisistico della personalità», accampato dalla difesa. Pietro Maso, il 17 aprile 1991, uccide ambedue i genitori per un brutale bisogno di soldi vista la sua vita scioperata e dispendiosa. Lo aiutano Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza. Il tutto a Montecchia di Crosara, in provincia di Verona.

Per questi ed altri casi criminali verificatisi a settentrione del Po si sono sempre applicate categorie attinenti alla psichiatria, alle deviazioni mentali e alle analisi del profondo. Trascurando fattori molto più espliciti e visibili: il territorio, le forme delle relazioni sociali e… la mentalità, come si diceva negli Anni ‘60, quando l’emigrazione interna metteva a confronto due Italie mai realmente arrivate a coesione.

Il Veneto, nello specifico, per troppi decenni fu definito «la Puglia del nord». Nulla di più lontano dal vero, nutrito dei pregiudizi, appunto, dovuti alla chiusura di certe comunità settentrionali. La Puglia, da sempre, è una regione viva, solare, sanguigna, anche quando quest’ultimo aggettivo diventa «sanguinario». Verrebbe da citare Raymond Chandler che in La semplica arte del delitto, elogiando i meriti del noi realistico americano, parla di racconti e romanzi in cui «la gente uccide per solide ragioni». Adattando il motto a certe zone del Sud, si potrebbe dire che i colpevoli sono noti prima che commettano i fatti. Questo oltretutto dovrebbe contribuire a una maggiore prevenzione, ma se non altro facilita le indagini, lasciando pochi margini per profiler, mentalist ed emuli in loco della Clarice Sterling de Il silenzio degli innocenti.

Fresca di cronaca, la tragica morte a San Severo di Celeste Rita Palmieri, freddata con una pistola dal marito, Mario Furio, poi suicidatosi. La scena si è consumata sotto gli sguardi esterrefatti di numerosi astanti dinanzi a un ipermercato. Alla luce impietosa del sole mediterraneo.

Persino l’omicidio a lungo insoluto di Elisa Claps si snoda in una spirale che parte da Danilo Restivo, successivamente riconosciuto colpevole. A Potenza l’allora ventenne personaggio era noto per atteggiamenti tutt’altro che lineari. Anche in questo caso non si rendeva necessario l’intervento dell’Unità di Analisi Comportamentali dell’Fbi. Semmai bisogna ancora addentrarsi nei depistaggi che favorirono troppo a lungo Restivo.

Vi sono quindi scenari differenti nella banalità del male che esplode in atti atroci tutt’altro che banali.

Nelle terre del miracolo del nord-est e dintorni, ormai esaurito, quei piccoli paesi di villette a un piano, privi o quasi di luoghi di ritrovo e permeati di diffidenza tra vicini, l’odio, il desiderio morboso e la volontà omicida covano sotto le ceneri dell’asocialità. Nel sud che oscilla fra l’incanto turistico e il degrado delle vecchie e nuove mafie, la violenza di genere, il maschilismo o le controversie terriere vengono allo scoperto, anche quando si tratta di derive patologiche. Talvolta farebbe testo l’etologo Konrad Lorenz, che parla di «istinto innato. Il che vale anche per il nord, a parti invertite.

Per quanto concerne il femminicidio, però, i due capi della penisola, al di là del pietismo o del giustizialismo, si raccordano drammaticamente in un contesto ben espresso da Cinzia Tani nel suo saggio Mia per sempre: «Li chiamano “delitti passionali” perché l’omicida uccide chi afferma di amare, in un impeto di rabbia o di gelosia. Eppure in questi delitti non c’è niente che faccia pensare alla passione come al sentimento che stimola a compiere grandi conquiste, a superare se stessi, a morire per un ideale, ad amare intensamente».

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