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Perché è «Meglio soli - La secessione del Sud stanco di essere colonia»

 
Pino Aprile e Luca Antonio Pepe

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Pino Aprile e Luca Antonio Pepe

Perché è «Meglio soli - La secessione del Sud stanco di essere colonia»

Un saggio che, in tempi di autonomia differenziata, pone un punto di vista completamente rivoluzionario: e se fosse il Sud a volersi staccare dal Nord?

Lunedì 11 Novembre 2024, 15:05

«Meglio soli - La secessione del Sud stanco di essere colonia» è il titolo del saggio di Pino Aprile, scritto con Luca Antonio Pepe. Il libro (pubblicato per PIEMME da Mondadori libri, pagg. 416, euro: 19,90) sarà in libreria da domani, martedì 12 novembre. In tempi di autonomia differenziata, un punto di vista completamente rivoluzionario: e se fosse il Sud a volersi staccare dal Nord? Dall’autore di Terroni, un manifesto politico, un grido di ribellione, un’analisi spietata e spiegata bene delle condizioni di subalternità in cui versa il Sud Italia. Di seguito pubblichiamo un ampio stralcio.

Voi vorreste vivere in un Paese in cui, se i malati sono costretti ad andare altrove per carenza di posti letto in ospedale, lo Stato (anche con le loro tasse) aumenta i posti letto non dove mancano, ma dove già ci sono, e proprio perché ci vanno quelli che non ne hanno? Insomma: con i soldi pubblici si finanzia lo spostamento dei malati, non il contrario.

E vivreste in un Paese dove, con la legge per fare gli asili dove non esistono (perché mai arrivati i soldi necessari), si stabilisce che quelle risorse, truccando i criteri di ripartizione, vadano (aridaje!) a chi li ha già, perché più ricco?

E vi trovereste bene in un Paese dove ci sono studenti a cui si negano il tempo pieno, la mensa, in scuole senza attrezzature, palestre e quasi sempre senza neanche certificato di abitabilità, mentre ad altre si dà il superfluo? E dove ogni anno uno strapagato «istituto di ricerca» incolpa quegli studenti dei loro «ritardi», ma se si impegnano nonostante tutto e ottengono lo stesso buoni risultati, glieli contestano come falsi? E avreste voglia di essere cittadini di un Paese in cui vi lasciassero ancora senza treno, aeroporti e autostrade nel 2024, mentre per chi ha il problema di troppe autostrade semivuote e l’alta velocità pure per andare in bagno, si progettano, anche con i soldi delle vostre tasse, ferrovie monorotaia antigravitazionali a 1.200 chilometri all’ora per raggiungere più rapidamente il mare, il venerdì sera? E restereste in un Paese in cui politici e comunicazione nazionale vi chiamano ladri di risorse pubbliche, mentre lo stesso Stato, con i suoi enti delegati al controllo dei conti, certifica che siete voi i derubati di cifre mostruose ogni anno, a favore di quelli che vi chiamano ladri?

E vi sentireste cittadini alla pari in un Paese in cui si stabilisse che vanno premiate le università più ricche, perché più... ricche, in modo che le città che le ospitano possano lucrare sulla migrazione degli studenti dalle regioni più povere?

E vi impegnereste per tutelare l’integrità di un Paese in cui le risorse inviate dall’Unione Europea per ridurre le disuguaglianze interne fossero spese nelle aree più ricche, per far crescere il divario dalle più povere, attribuendolo al presunto maggior merito dei ladri e al proclamato demerito dei derubati?

E se tutti i centri di potere «nazionali» (sedi di aziende e multinazionali pubbliche, authority europee, Commissioni uniche nazionali, Cun, eccetera, che incrementano redditi e occasioni di lavoro) fossero concentrate in una sola parte del Paese, sarebbe ancora «vostro» il Paese che vi esclude da tutto, tranne che dalle tasse?

E se una lavorazione siderurgica, letale per l’uomo e l’ambiente, fosse rimossa per tutelare la salute e la vita dei cittadini (a Genova) e trasferita di fronte a casa vostra (a Taranto), nell’area più povera del Paese, non vi chiedereste: «E io non sono cittadino italiano come quegli altri? Perché la mia vita vale meno?» Qualcuno si stupisce se di uno Stato così, sono sempre più numerosi, a Sud, quelli che farebbero volentieri a meno?

E avreste ancora «sano orgoglio nazionale» se scopriste che non foste «liberati», ma invasi (a fin di bene, certo! Ma di chi?) con una guerra durata anni, centinaia di migliaia di morti, deportati, rinchiusi in campi di concentramento e prigioni, le fabbriche delle vostre regioni distrutte, chiuse, l’esercito che spara sugli operai, i macchinari rubati e portati altrove; i soldi delle vostre banche usati per ripianare i deficit altrui? E se apprendeste che le vostre regioni non avevano mai conosciuto l’emigrazione in tutta la storia dell’umanità, fino a quando non foste «liberati»?

E se ancora oggi trasferissero altrove i centri direzionali delle vostre aziende storiche e ministri «nazionali» offrissero miliardi pubblici agli investitori stranieri, per spostare le loro fabbriche dal Sud al Nord, ovvero dall’area europea con la più alta disoccupazione a una di quelle con la più alta? Pensate che stiamo esagerando, che siano «le solite lamentele», «autoassoluzioni», eccetera?

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