Era scontato l’intervento della magistratura italiana sulla questione migranti, in Albania, dato che la Corte di giustizia europea ha emesso, il 4 ottobre, una sentenza, in cui dava una interpretazione di definizione di Paese sicuro, passando la patata bollente alla magistratura italiana, come previsto dal diritto europeo. E, comunque, Paese sicuro o no, spetta al potere politico decidere.
Figurarsi che non lo sapessero la presidente Meloni, ministri dell’Interno Piantedosi e della Giustizia Nordio e il sottosegretario Mantovano. La cui conoscenza del diritto italiano ed europeo di quest’ultimi due arriva, addirittura, al suo rovescio. Insomma, non sono degli sprovveduti e hanno voluto forzare la mano, lanciando un ballon d’essai e farne della migrazione un casus belli nazionale nonché europeo, a fin di dare uno stop alla migrazione irregolare. L’obiettivo è di portare sotto il controllo politico la questione emigrazione irregolare e toglierla dalle mani dalla magistratura, molto compiacente a qualsiasi tipo di accoglienza, E, per di più, stabilire quali sono i Paesi sicuri e quelli che non lo sono, per evitare, lo scontro tra magistratura e governo. Il presidente Mattarella nel suo silenzio significativo, non vuole uno scontro tra poteri, ma ci sta pensando Alfredo Mantovano a superarlo, essendo «l’ufficiale di collegamento» tra Palazzo Chigi e Quirinale.
Non si spiega diversamente, avendo sui Centri di Permanenza e di Rimpatrio - Cpr - di Gjadar e di Shengjin, in Albania, Giorgia Meloni messo la faccia e denaro pubblico, per la costruzione e per l’allestimento, rischiando un eventuale danno erariale. E la Corte dei Conti che non ha buoni rapporti con il governo Meloni, non aspetta altro. Ovviamente, ci si chiede: a che cosa servono i Cpr? Servono soprattutto come strategia di deterrenza, per scoraggiare lo sbarco di migranti irregolari.
Siccome la maggioranza di governo ha investito sul modello Albania, «return hub», l’opposizione, invece, propone di sostenere finanziariamente gli hotspot, vale a dire i Centri di accoglienza migranti stanziati in più parti d’Italia. Che criticava, e ora, l’hanno riportati in auge.
Giorgia Meloni gioca sulle contraddizioni interne ai Paesi dell’Ue, che non tutti sono contro il modello Albania, tant’è che la Von der Leyen ha dato il suo endorsement e l’Olanda vuole farlo proprio. Insomma, ha aperto un fronte, in chiave sovranista-populista, sapendo di trovare la giusta attenzione tra alcuni partner europei, la cui questione migranti la vivono drammaticamente. Vieppiù, la lotta contro lo sbarco di migranti irregolari, che, quando meno te lo aspetti, diventano spacciatori di stupefacenti e merce delle organizzazioni criminali, il che trova consenso tra gli elettori italiani.
Lasciare la questione alla discrezionalità della magistratura, significa affrontarla in modo giuridico, ma, alla luce della emergenza e della tragedia quasi quotidiana di morti affogati e dispersi in mare, bisogna risolverla a livello governativo. Ragion per cui, i giudici hanno fatto il loro dovere, applicando la legge della Corte di giustizia europea e nulla quaestio, vista, però, la gravità e la delicatezza del caso avrebbe dovuto essere il Governo a stabilire quale Paese rispetta lo Stato di diritto e i diritti umanitari, per essere Paese sicuro.
Per quello che ci riguarda, da un lato, la legge Bossi - Fini è obsoleta, dall’altro, la Convenzione di Dublino che regola l’accoglienza e le modalità di richiesta nel territorio è superata.
La cosa curiosa che in molti mettono insieme, creando confusione, il caso Salvini e la questione Albania, come se fossero due facce della stessa medaglia, ma non è così . Perché? In primo luogo, l’ex ministro dell’Interno, Cicero pro domo sua, coscientemente, violò la legge del mare, secondo la quale è scontato salvare il naufrago o colui che si trova in balia delle onde. Probabile che l’avvocato Buongiorno, difensore di Salvini, nella sua arringa conclusiva, abbia fatto valere l’argomentazione che la Ogn spagnola Open Arms ha «bighellonato», invece, di raggiungere la Spagna, con l’intento di far dimettere Matteo Salvini da ministro degli Interni. Ultima considerazione il sit in dei parlamentari laddove si svolgeva l’udienza del processo contro Salvini è un fatto deprecabile, ma non è esente di ciò nemmeno l’opposizione: l’ultima bravata fu il raduno di tricoteuse che si consumò a Genova contro Toti agli arresti domiciliari.
Fatta questa precisazione con digressione, i magistrati sui rimpatri non vogliono cedere il loro potere né sulle altre materie. Un potere conquistato, in decenni in cui la politica è stata segnata dalla debolezza, la cui preoccupazione di perdere consenso elettorale, ha delegato buona parte del proprio potere alla magistratura, squilibrando i tre poteri di Montesquieu. Chi è causa del suo male, pianga se stesso.