La storia del libro è una storia lunga e tortuosa. Basterebbe leggere la grande avventura del libro nel mondo antico, raccontata nell’avvincente saggio di Irene Vallejo, Papyrus. L’infinito in un giunco (Bompiani 2019). L’uomo ha cominciato a scrivere su pietra, fango, legno e metallo. Il primo libro nacque quando le parole trovarono rifugio nel midollo di una pianta acquatica.
Il libro divenne subito un oggetto flessibile, leggero, pronto a viaggiare e a vivere le avventure delle idee, dei sentimenti, della storia umana.
Per la sua Biblioteca di Alessandria, la più grande e ricca biblioteca del mondo antico, il faraone inviò i suoi emissari con ingenti somme di denaro in ogni dove, pur di entrare in possesso di tutti i libri del mondo. Rincorreva il sogno di una biblioteca assoluta e perfetta, che riunisse tutte le opere di tutti gli autori dall’inizio dei tempi.
Tout aboutit à un livre, ha scritto Mallarmé. Il mondo è fatto perché finisca in un libro, nel senso di essere descritto, significato e raccontato.
Borges ha sempre cercato per tutta la vita il libro totale, il libro che fosse la chiave e il compendio perfetto di tutti gli altri.
Per Umberto Eco i libri allungano la vita, perché ci fanno vivere non solo la nostra vita, ma la vita di moltissimi autori.
Accogliendo alcune acute e giuste riflessioni di Lino Patruno («La Gazzetta del Mezzogiorno»,12.7.2024), uno dei pochi scrittori e giornalisti in continuità con la nostra tradizione meridionalista (Genovesi, Fortunato, Salvemini, Fiore, Sturzo, Saraceno, Aprile), occorre aprire un dibattito sulle politiche culturali della Puglia e del Sud.
Annota Patruno che al Sud ci sono più festival letterari che lettori di libri, in Puglia in particolare. Bisogna fare qualcosa per evitare questo primato, frutto marcio anch’esso dell’incompleto sviluppo.
Bisogna cercare di incrementare l’acquisto di libri e la lettura. In Puglia si fa, forse non quanto o come servirebbe. I privati sono liberi di spendere come vogliono. Ma se i soldi sono pubblici, dovrebbero soprattutto o in sufficiente misura essere utilizzati per sostenere l’editoria locale e gli autori locali.
Bene, qualcuno ci dica, mettendosi la mano sulla coscienza, se questo avviene. Inviti sempre o quasi ad autori non meridionali per editori altrettanto non meridionali. E non ne parliamo dell’orgia dei premi (chiavi della città comprese) con tanto di contributo dell’assessorato: ai limiti dell’autoflagellazione. Una subordinazione soprattutto mentale. Senza essere provinciali, aprirsi al mondo serve a tutti, altrimenti non cresciamo mai.
Rischiano, però, di non crescere gli autoctoni, editori compresi, notoriamente con meno mezzi a disposizione più che con meno capacità. E discorso a parte per l’editoria scolastica: conosciamo i tanti casi di libri storici antimeridionali di editori settentrionali.
Scrive Patruno: «È la trappola coloniale del sottosviluppo: meno ti faccio crescere, più posso accusare te della tua mancata crescita. E meno ti vengo incontro, meno ti riterrò degno che io lo faccia.
Fino all’estremo delle tue risorse utilizzate anche per far crescere gli altri non essendo capace di crescere tu. Fino alla letteratura e all’editoria. Salvate il soldato Autore meridionale.
Onore al Milite Ignoto del libro del Sud a rischio di restare ignoto per sempre»
Il noto storico e filosofo Yuval Noah Harari nel suo ultimo libro (Nexus, Breve storia delle reti di informazione dall’età della pietra all’IA, Bompiani 2024),così chiude la sua opera: «Un libro è un nesso tra l’autore e i lettori. E’ un legame che unisce molte menti, che si realizza solo quando un libro viene letto»
La politica deve sostenere l’editoria locale e aprire gli spazi pubblici, come la scuola, l’università, le piazze, perché la cultura meridionale possa esprimere tutte le sue potenzialità.