Sabato 06 Settembre 2025 | 23:52

Basta semplificazioni: nessuno metta l’antifascismo in soffitta

 
Carlo Spagnolo

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Carlo Spagnolo

Basta semplificazioni: nessuno metta l’antifascismo in soffitta

Gli storici che studiano e insegnano la storia novecentesca farebbero bene a rinunciare al compito davanti a tali semplificazioni liquidatorie, frutto di qualche penna poco accorta e di scarse letture

Giovedì 03 Ottobre 2024, 13:35

Dispiace leggere un articolo di vacua polemica sulle pagine del 30 settembre della «Gazzetta» che per la sua tradizione meriterebbe di salvaguardare un tono più elevato su questioni non banali come l’antifascismo e il fascismo.

Gli storici che studiano e insegnano la storia novecentesca farebbero bene a rinunciare al compito davanti a tali semplificazioni liquidatorie, frutto di qualche penna poco accorta e di scarse letture.

L’invito ad abbandonare la discussione sul fascismo e sull’antifascismo, a non parlarne, a mettere tutto in soffitta, appare figlio di una autoassoluzione della nostra classe dirigente, che non solo ha dimenticato il crollo dello Stato italiano e le grandi tragedie comportate dalla politica imperiale del fascismo, ma confonde antifascismo, comunismo e crisi odierna, rivelandosi ignara dei limiti autoimposti dall’antifascismo, dei quali sarebbe troppo lungo parlare qui, a causa della sua genetica pluralità. Avremmo molto bisogno di una cultura di destra altrettanto consapevole delle proprie eterogenee matrici. Una delle grandi debolezze della vicenda repubblicana è stata l’assenza di una robusta cultura conservatrice e al contempo democratica, tanto che l’antifascismo specie cattolico dovette per un cinquantennio surrogare a quell’assenza attraverso la Dc.

L’opportunità di costruire una destra conservatrice seria e laica si è aperta dal 1992, ed era stata colta da un pezzo della classe dirigente, ma se quel percorso è sfociato in una frattura e uno slittamento all’estrema destra, forse non era soltanto per il ruolo personale e i conflitti di interesse di Berlusconi. Probabilmente cozza con quel passaggio una cultura che scambia «tradizione» e prestigio con «fascismo», un fascismo epico, inteso come strumento di tutela locale, separato e scisso dalla realtà del suo tempo e mitizzato in memorie che non intendono modificarsi: quelli che non hanno imparato nulla. È un tema su cui si è aperta una discussione tra gli storici, come sia emersa in Pinuccio Tatarella , Gianfranco Fini e altri una linea di netta e chiara adesione alla democrazia e come si sia arrivati alla svolta di Fiuggi del 1994.

Dobbiamo chiederci perché la destra italiana si sia spaccata anche in quella sede, e ne sia emersa una deriva che prosegue e per mascherare le proprie contraddizioni se la prende con l’antifascismo. Il paradosso di una destra «nazionalista» che è subalterna ai progetti «pseudofederalisti» dell’Autonomia differenziata è davanti agli occhi di tutti. Come è possibile che il tradizionale senso di unità dello Stato si traduca in sostegno all’Autonomia differenziata, se non per un rinnegamento della propria storia e del compito di una classe dirigente? Le resistenze al progetto di una destra moderna e liberale dovrebbero preoccuparci, specialmente noi meridionali, e si manifestano anche in articoli di stampa che mostrano una scarsa capacità di distanziamento critico dal fascismo, una difficoltà ad accettare che una destra conservatrice oggi in Europa deve essere anche antifascista se vuole essere democratica.

Nessuno pretenderebbe un antifascismo a destra di caratteri analoghi a quelli degli ex-comunisti o socialisti o azionisti, ma un distanziamento netto dal fascismo è stato la base della democrazia costituzionale, che ha dato spazio anche agli ex-fascisti. Se non si costruirà quel fronte moderato, se non si apre una discussione sul proprio passato, temo che si aprirà presto uno scontro durissimo, molti segnali preoccupanti sono all’orizzonte. Miracolata per certi versi, e poco sensibile alle grandi lezioni di Aldo Moro - che mai rinunciò all’antifascismo - la cultura conservatrice meridionale ha ancora meno assorbito la lezione di Togliatti, la cui amnistia gettò le basi per chiudere la «guerra civile» che aveva attraversato il Paese, non per omaggiare il fascismo in quanto tale.

Su un punto credo siamo d’accordo, l’antifascismo non può fungere da scudo ai problemi concreti che ci stanno davanti e che in gran parte erano impensabili per i grandi antifascisti del Novecento.

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