Ho avuto modo di leggere con estremo interesse l’editoriale del direttore sull’apertura a Taranto di una nuova libreria e, con essa, della triste solitudine a cui è relegata la nostra città.
Purtroppo, pur cercando le parole per provare a giustificare una dimensione diversa da quella che racconta, non è possibile darle torto su tutti gli argomenti che ci propone.
L’immagine che appare di Taranto è di fatto quella di una città stanca e disillusa dalle speranze di cambiamento avute nel recente passato, sopratutto per la mancanza di rispetto verso la sua storia e ciò che potrebbe e dovrebbe rappresentare. Negli ultimi mesi si è potuto toccare con mano un progressivo declino della forza rappresentativa della politica di questo territorio che si è da subito trasformato in scoraggiamento e distaccamento dalla vita politica, sociale ed economia da parte dei cittadini. Si potrebbero perdere ore nel disegnare il quadro desolante cui siamo stati destinati tra vertenze, costanti proteste, divisioni e abbandoni. Ed è proprio in questo quadro che si mostra la totale debolezza di una politica assente o cieca, troppo impegnata a litigare sulle dimensioni locali e ad accontentare, con basse prebende, fette intere di elettorato popolare, senza accorgersi che l’ultimo treno (e questa volta non solo quello da/per Roma) è già partito carico dei bagagli di speranza dei suoi giovani e dei suoi abitanti.
Se ci fosse consapevolezza, dignità e certezza della difesa del territorio allora sì che Taranto già oggi sarebbe stata un’altra città. Invece no, continuiamo a litigare per decidere quale sia l’illusorio padrone di turno a cui votarci, cercando nemici inesistenti o inventando sudditanze improbabili senza guardare, ancora una volta, che tutto intorno a noi appassisce.
Lo dice bene, non sarà un libro a segnare la svolta ma di certo può rappresentare la speranza della conoscenza e della consapevolezza del cambiamento, oltre ogni corsa che la politica locale farà per intestarsi un’inaugurazione. Fatto sta che questa città reclama una nuova classe politica e dirigente. Ci avevamo sperato, creduto, ci eravamo impegnati e siamo stati delusi, traditi, ancora una volta. Ma questa non può essere la ragione di un abbandono e anzi deve diventare la certezza di un impegno, ulteriore e sentito, perché non si consegni all’oblio eterno questo angolo di paradiso. Non c’è tempo e sempre meno ce ne sarà, come dimostrano il deserto serale in quelle che un tempo erano le vie dello shopping o la «non accoglienza» dei tanto sognati croceristi. Ma questo non può che essere un motivo in più per cui ognuno di noi è chiamato ad essere responsabile di una svolta che, seppur iniziata e ora sospesa, non può più essere rimandata. Non oltre la lettura di un buon libro. Non oltre il diritto di esistenza «giusta» che questa terra reclama.