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Che errore dire «no» al Mes, da domani l’Italia sarà più debole ed esposta

 
Gaetano Quagliariello

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Gaetano Quagliariello

Unione europea

Giorgia Meloni si sarebbe potuta intestare una vittoria, infilandosi nello scontato accordo finale tra Francia e Germania

Domenica 24 Dicembre 2023, 13:46

Alla fine della scorsa legislatura Giorgia Meloni e il suo partito hanno goduto di una felice ambiguità: erano all’opposizione ma, in particolare per quel che concerne la politica estera, apparivano più affidabili di altre forze che si trovavano in maggioranza.
Quest’effetto fu prodotto, in primo luogo, dalla posizione assunta al momento in cui Putin decise di invadere l’Ucraina. Allora la coerenza atlantica e filo-europea di Fratelli d’Italia, che pure non condivideva impegni di governo, risultarono più autentici di quelli degli altri partiti del centro-destra e maggiormente in linea con le posizioni assunte dall’allora Presidente del Consiglio Mario Draghi. Questa fu una delle chiavi del successo elettorale che ha consentito a Giorgia Meloni di conquistare Palazzo Chigi.

Tale condizione di vantaggio, con il voto parlamentare che ha bocciato il Mes, deve ritenersi esaurita. Non è affatto detto che ciò porterà a una perdita di consensi elettorali alle prossime elezioni. Oggi, tuttavia, a differenza di ieri, l’ambiguità non è più felice; è divenuta un problema che potrebbe mettere piombo nelle ali di un Premier che, nel corso del 2023, si è mosso con invidiabile leggerezza, soprattutto in campo internazionale.

Quest’appesantimento sarebbe stato evitabile? Io ritengo di si. La maggioranza ha a lungo tergiversato sulla ratifica del trattato che istituisce il Mes per poter contare su una carta negoziale da giocarsi nella trattativa sul Patto di stabilità che, per un Paese indebitato come il nostro, è questione di vita o di morte. A livello europeo, in quella partita, si sono contrapposte due linee: la Commissione avrebbe voluto annettere alla sua responsabilità la fissazione dei parametri, in modo da potere tener conto delle contingenze di volta in volta cangianti; la Germania, invece, ha preteso una «regola» in grado di garantire con certezza la riduzione dei deficit e dei debiti, almeno sulla carta.

La contrapposizione tra «il potere dell’istituzione» e «gli effetti della regola» va considerata un classico del processo d’integrazione. L’esperienza ci ha insegnato che attraverso la prima strada i risultati sono migliori perché riescono a tenere in maggior conto una realtà che - come da ultimo è accaduto con il Covid e la guerra - non può sempre essere prevista e imbrigliata in norme astratte. La storia, invece, ci dice che di tale portato dell’esperienza la Germania non si fida e che essa, almeno fin qui, è stata disposta a mettere tutto il suo peso politico sulla bilancia europea per far prevalere il piatto delle regole su quello delle istituzioni.

In questo quadro, nella partita sul Patto di stabilità, l’Italia non aveva giocato affatto male le sue carte. Ha fatto asse con la Francia disarticolando lo storico accordo tra questa e la Germania. Ha ottenuto una sensibile riduzione dei parametri con i quali verrà misurato il rientro dal debito; ha ottenuto anche una notevole flessibilità di questi parametri almeno fino al 2027.
Tutto ciò la metterà in condizione di rispettare gli impegni assunti? Dipenderà dalla crescita: se essa non si limiterà ai decimali, la risposta è sì; se invece non ci sarà, nessun accordo ci potrà garantire una condizione di solvenza.

Per tutte queste ragioni io credo sia stato un errore madornale non rendersi conto del successo negoziale ottenuto e, il giorno dopo, negare la ratifica di un trattato che era stato sottoscritto dal Paese. Giorgia Meloni si sarebbe potuta intestare una vittoria, infilandosi nello scontato accordo finale tra Francia e Germania (la storia alla fine rivendica sempre i propri diritti) e presentando l’Italia come la terza tra i «grandi» nel concerto europeo. Il Paese ne avrebbe guadagnato in prestigio e in affidabilità. Invece, ha scelto di seguire Matteo Salvini su una strada dettata da un’idea di sovranità che poco ha a che fare con la complessità del mondo reale. Tra l’acquisizione di un credito europeo e una posizione di politica interna che forse le consentirà di non avere «nemici a destra», ha scelto quest’ultima opzione. Il fatto è che, da domani, il Paese dovrà rispettare le regole sul Patto di stabilità liberamente sottoscritte. Nessuno più potrà rifugiarsi nella contestazione della loro presunta iniquità. E lo dovrà fare senza il favore di chi, non senza ragione, ci ritiene inaffidabili. L’Italia, per questo, sarà più debole e più esposta.

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