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Matera e quei 30 anni dei Sassi come patrimonio universale, ma si parli dei nuovi problemi

 
Vito Labarile

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Vito Labarile

Matera e quei 30 anni dei Sassi come patrimonio universale, ma si parli dei nuovi problemi

Non me ne voglia l’architetto Laureano, la sua opera nel ‘93 è stata importante e decisiva per la città, ma oggi dopo trent’anni da quell’evento è passato un paradigma rivolto ai suoi Abitanti della serie «Andate ed Arricchitevi»

Martedì 12 Dicembre 2023, 13:20

La memoria rimossa... È la condizione in cui Matera perdura da tanti anni ormai decenni, ed è ciò che si riflette nell’autocelebrazione che l’Unesco sta facendo in città per il trentennale dell’iscrizione dei Sassi nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Un Convegno di ben tre giorni che si celebra in spazi pressoché deserti dove l’iscrizione Unesco sembra un punto di partenza e non un passaggio intermedio di una lunga grande Storia della Città. Ma come si può dimenticare che il racconto contemporaneo di Matera nasce nel dopoguerra alla fine degli anni quaranta, con la grande esperienza di Olivetti, con gli studi e le risorse del piano Marshall, della promozione e gestione delle Leggi Speciali promosse in Parlamento dai grandi Politici nei primi anni 50, dalla presenza in Città in quel periodo dei maggiori e qualificati Urbanisti Architetti, dei grandi Intellettuali dell’epoca, sociologi ed antropologi… sì perché Matera è poi diventata da quel tempo un «Must nell’Antropologia Culturale».

Come si può dimenticare tutta la storia degli anni ‘60 e ‘70: nei primi nasce il dibattito sul futuro dei Sassi ormai svuotati dei suoi abitanti che ormai alloggiano nei quartieri tutti progettati da illustri architetti, nei secondi il grande concorso di progettazione degli antichi rioni dove partecipa tutto il mondo del sapere che conta.

Come si può dimenticare il grande momento che negli anni ‘80 vede realizzarsi un qualificato compromesso storico della politica che produce la Legge 771 dell’86 e da dove concretamente inizia il recupero edilizio ed urbanistico dei Sassi. In quella Legge si condensa tutta la storia pregressa dell’intera vicenda degli antichi rioni, attraverso la pianificazione urbanistica ed attuazione dei programmi biennali, con il manuale del recupero e la centralità della destinazione residenziale dei Sassi che oggi ormai è un assunto storico.

E sentire nel convegno del 9 dicembre la scaletta esprimersi contro la centralità di questa destinazione è deprimente, espressione ormai di un sapere che non c’è più, di una funzione ormai da tempo inesistente di questo circolo che pur nel passato ha esercitato un ruolo importante nella città. E in tutti questi decenni, dagli anni ‘50 in poi, si delinea una grande sfida: l’ideazione progettazione realizzazione e gestione di un’Impresa culturale che avrebbe fatto grande la città, ovvero il museo etno demo antropologico dei Sassi: la storia dell’uomo nella grotta, negli ipogei quantomeno dal periodo bizantino fino al Novecento, un Museo en plein air, ovvero negli stessi luoghi dove quelle storie si erano realizzate.

Allora il trentennale dell’iscrizione dei Sassi nel Patrimonio Culturale dell’Umanità poteva/doveva coincidere con l’indicazione alle istituzioni locali di un evento concreto, ovvero dopo trent’anni di mancanza del piano di gestione dei Sassi, del suo strumento principe ovvero il Museo etno demo antropologico.

La presenza di tante personalità estere in campo culturale presenti in qualificate istituzioni doveva puntare su come pensare progettare e realizzare questa struttura. In questo campo ci sono stati nel passato tanti qualificati interventi e iniziative concrete: l’intervento di Carlo Levi all’inizio degli anni ‘60 in un importante convegno a Matera dove chiedeva scusa ai suoi abitanti perché a suo dire non aveva compreso l’importanza di quei quartieri come esempio di edilizia sociale, l’università di Roma e l’intervento di Gae Aulenti, e poi il grande concorso di progettazione del Museo che il sottoscritto, come vicepresidente della Fondazione Bancaria Carical, aveva promosso in ambito internazionale. Quel concorso fu vinto da un importante gruppo di qualificati professionisti e professori accademici, che poi progettarono il Museo nei suoi contenuti culturali, negli aspetti del recupero architettonico ed urbanistico e nei contenuti gestionali. Tutta l’opera tecnica e gestionale fu poi donata all’amministrazione comunale dell’epoca, che invece di candidarla al finanziamento sul dossier della Capitale Europea, la sostituì con la versione digitale del Museo affossando definitivamente l’opera. La versione digitale del Museo s’intitolava I-Dea a differenza della versione fisica del concorso che invece si chiamava Dea. Insomma la città rimase senza Dea e senza I-Dea.

Non me ne voglia l’architetto Laureano, la sua opera nel ‘93 è stata importante e decisiva per la città, ma oggi dopo trent’anni da quell’evento è passato un paradigma rivolto ai suoi Abitanti della serie «Andate ed Arricchitevi».

Il patrimonio culturale dei Sassi è ragionevolmente compromesso perché i suoi spazi relazionali, i suoi vicinati, sono ridotti a foresterie di ristoranti ed alberghi. Insomma abbiamo banalizzato i Sassi con la loro turisticizzazione.

E allora caro Pietro diventa nuovamente un «Uomo del Fare» rilanciando l’azione amministrativa delle Istituzioni locali, in particolare Regione e Comune, postulando a costoro il percorso faticoso per realizzare il Museo, perché la cultura si fa con le imprese culturali, dove gli eventi diventano importanti e attrattivi perché poi vanno ad arricchire il patrimonio culturale di quelle imprese stesse.

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