Una gran folla, a Washington, ha marciato con dei cartelli e delle bandiere israeliane. «We stand against terrorism, we stand with Israel». Com’è più complessa la realtà di questi slogan, che offendono soltanto la tragedia del momento! Un interrogativo su tutti: ad Al Shifa il mondo sta assistendo a uno dei peggiori crimini di guerra?
Difficile dubitarne, purtroppo. Le forze di difesa israeliane hanno affermato più volte di aver avviato «un’operazione precisa e mirata» contro Hamas ad Al-Shifa, con combattimenti in corso; tuttavia l’impressione di queste ore è molto diversa. Carri armati e veicoli militari israeliani si trovavano già «all’interno del cortile dell’ospedale», ha detto alla CNN Khader Al Za’anoun, giornalista dell’agenzia di stampa palestinese Wafa. Un medico ha aggiunto che è stato dato loro un preavviso (inutile per mettere in salvo tutti i malati) di 30 minuti prima dell’inizio dell’operazione israeliana.
Perché Israele fa questo? Israele ha accusato Hamas di utilizzare l’ospedale Al-Shifa come base di controllo. Vero o falso? Poco importa in certi casi. Gli ospedali sono protetti, in tempo di guerra, dal diritto internazionale umanitario, ma Israele ha rilasciato una dichiarazione manipolatoria, secondo cui «il continuo uso militare dell’ospedale di Shifa, da parte di Hamas, mette a repentaglio il suo status protetto».
Martedì scorso gli Stati Uniti hanno chiamato l’intelligence israeliana per comprendere la situazione intorno all’ospedale. La stessa CNN ha ammesso che le informazioni ottenute dal Pentagono non sono verificabili. Al momento non è neanche verificato che, all’interno dell’ospedale, ci fossero realmente terroristi di Hamas. Intanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha nuovamente perso i contatti con il personale sanitario dell’ospedale di Gaza; il direttore generale dell’OMS, Ghebreyesus, ha dichiarato: «Le notizie di incursioni militari nell’ospedale Al-Shifa sono profondamente preoccupanti. Abbiamo perso di nuovo i contatti i medici. Siamo estremamente preoccupati per la loro sicurezza e per quella dei loro pazienti». A Gaza, inoltre, si stanno verificando gravi violazioni contro i bambini, proprio come ha detto il direttore esecutivo dell’UNICEF, Catherine Russell, un giorno dopo la sua visita nel territorio. «Le parti in conflitto stanno commettendo gravi violazioni contro i bambini; questi includono uccisioni, mutilazioni, rapimenti, attacchi a scuole e ospedali e la negazione dell’accesso umanitario - tutte cose che l’UNICEF condanna». Russell ha aggiunto che, oltre alle migliaia di bambini uccisi e feriti, molti sono dispersi e si ritiene che siano intrappolati sotto le macerie degli edifici distrutti, cosa che ha definito come la diretta conseguenza del tragico risultato dell’uso di armi esplosive nelle aree densamente popolate.
A ben guardare la realtà, ancora una volta, si comprende che farsa è stato il piano di Trump per la presunta pace fra Israele e Palestina. Quell’accordo ha soffocato i pur embrionali patti di Oslo, firmati da Rabin. Anche quella era forse un’illusione, ma è stata recisa ben prima che potesse sbocciare. Il piano di Trump aveva previsto piccole enclave collegate da trafori immaginifici: idea rivelatasi già fallimentare in Sudafrica con i «bantustan». In quei giorni, il giornalista Gwynne Dyern aveva definito l’accordo come «un’illusione di libertà e autodeterminazione dei popoli». I cosiddetti «patti di Abramo» dell’epoca Trump portavano, in sé, già molte contraddizioni invisibili. Alcune precisazioni. Non va dimenticato che i rapporti fra Usa e Medio Oriente si sono consolidati, nel tempo, anche in chiave anti-Fratellanza Musulmana, con un blocco nei contatti col Qatar, da sempre accanto, anche economicamente, al movimento islamista integralista (di cui fa parte Hamas, ricoprendo il ruolo di costola palestinese dei «Fratelli Musulmani»).
Da dove nascevano, nel 2020, i dubbi su un interesse di pace autentico di Trump, in tema israeliano? Una risposta facile: Israele-Cina. I rapporti fra Israele e Cina erano meno complicati di quelli Usa-Cina e questo era un problema per la politica trumpiana; dopo i «patti» - implicitamente - i rapporti peggiorarono, annullando una serie di accordi commerciali, col veto di Trump. Quell’accordo di «pace», dunque, fra le cosiddette «petrol-monarchie» e Israele, che si sposava esattamente con gli accordi pericolosi, in Afghanistan, coi talebani e con gli annunci dei ritiri dei contingenti di soldati presenti in Iraq e Siria, non hanno davvero giovato al Medio Oriente, anzi - in maniera latente - la conflittualità, proprio in quel momento, si è ingigantita, per poi esplodere.
E ora? La sensazione più diffusa è quella di una netta divisione tra il mondo arabo musulmano e l’Occidente, costantemente accusato di doppi standard e di sostegno cieco allo Stato di Israele. «Abbiamo certamente perso la battaglia nel Sud Globale», ha detto un diplomatico di alto livello di uno dei Paesi del G7, citato dal Financial Times. «Tutto il lavoro che abbiamo fatto con il Sud Globale [riguardo all’Ucraina] è andato perduto. Dimentichiamoci delle regole, dimentichiamoci dell’ordine mondiale. Non ci ascolteranno più. Con le ultime mosse di Israele abbiamo bucato tutta la geopolitica del futuro […] Quello che dicevamo sull’Ucraina avrebbe dovuto applicarsi a Gaza. Continuando così l’Occidente perderà tutta la sua credibilità. I brasiliani, i sudafricani, gli indonesiani: perché dovrebbero mai credere a quello che diciamo riguardo i diritti umani?».