La storia insegna che c’è ciclicità endogena nel nostro mondo: la pace è una conquista e la guerra è uno stato naturale direbbero diversi filosofi del passato.
Noi contemporanei della sfera Occidentale del globo abbiamo goduto di decenni di pace come fosse un dato acquisito della vita umana. E invece ripiomba la questione israelopalestinese (collaterale a quella russo-ucraina) che, rinnovata dall’attacco terroristico di Hamas su territorio israeliano, riaccende i riflettori sulla dimensione bellica.
Gerusalemme, parliamo chiaramente, appartiene a tutti. È come il Dio di ognuno: si chiami esso Allah, Yahweh o altro. È un Dio-Città che va spogliato dell’idea di conquista se si vuole portare «pace in terra agli uomini» sperando che, quest’ultimi, siano di buona volontà.
Il richiamo agostiniano è utile a saldare quanto la pace sia, apparentemente, impossibile al momento dato che:
- Hamas controlla di fatto Gaza e vuole la cancellazione di Israele come fatto politico,
geografico e religioso;
- la Pace occorre farla almeno in due.
Ovviamente bisogna spiegare che Hamas non è la Palestina nella sua interezza e non rappresenta neanche i palestinesi nella loro fierezza.
Anzi, semmai sarebbe valido il contrario dal momento che il mondo arabo ha partorito nei secoli cultura ma avendo mine impercettibili sul terreno e cioè quelle che hanno voluto la disunione tra l’esaltazione dell’umanità con la religione gettando quest’ultima nell’oscurantismo dei radicalismi.
Quindi, tra mondo arabo, musulmani e islamici occorre ancor di più fare un distinguo perché di arabi concilianti con l’Occidente e con Israele ce ne sono e ciò valgasi anche per i musulmani. Per quanto qualcuno possa pensare che non esista differenza tra musulmani e islamici, invece, sarà aiutato nel comprendere che una persona che si converte all’islam o crede in questa è musulmana, mentre è islamica se abbraccia una visione politica della società.
Ebbene, la netta differenza tra i due concetti ci facilita una deduzione: l’abbraccio della visione politica della società a Gaza, per mano di Hamas, è islamista nella sua dimensione radicale e radicalizzante.
Motivo per cui alle derive islamiste, non musulmane, interessa che Stato e Religione si commistionino a tal punto da coincidere nella stessa Autorità.
Non che nel mondo Occidentale ciò non succeda o non sia successo, ma c’è un distinguo anche qui: la fonte del potere culturale-religioso in Occidente non è monolitica bensì diversificata, multiforme e capace di mettersi in discussione in base alle evoluzioni della società e ai progressi di essa.
Cosa che permette alle diverse produzioni di cultura come università, scuole, aggregazioni sociali, ecc. di concorrere al progresso stesso, ma soprattutto alla coscienza critica degli individui.
Dinamica che il mondo arabo ha conosciuto bene dato che la più antica università del mondo, ancora oggi attiva, è l’Università di Al Quaraouiyine e si trova nella città marocchina di Fes (anche detta Fez). Ecco, c’è un grande abisso tra le derive islamistiche e la cultura musulmana. Si chiama «dittatura del sapere»: dimensione in cui quel che l’individuo deve sapere è solo quanto decide una certa volontà religiosa in termini di potere e autorità. Questo modo di fare fa parte delle famiglie comunicative di matrice demonizzante (che si basa sul concetto del «trova un nemico e hai una ragione di lotta»).
Allora, se questa è la base del problema, i Paesi come l’Italia potrebbero partire da una grande opera di testimonianza. Coalizzare tutte le università del bacino del Mediterraneo fino alle aree del Golfo per coagulare tutte le culture accademiche musulmane unite per la pace con quelle cristiane, ebraiche, ecc.
L’Italia, non dimentichiamolo, fa parte della stessa storia degli ebrei e dei musulmani per Gerusalemme. Se poi pensiamo al ruolo che può assumere la Puglia in tutto ciò, magari con le università del Salento e di Bari (la sede di Taranto ha pure un importante dottorato di ricerca in diritto e culture dei Paesi islamici), si potrebbe pensare ad una grande accoglienza di universitari palestinesi (profughi su tutti) ed israeliani.
Ma non sono da trascurare anche i Tecnopoli. Specie quelli di cui si è in attesa di parto come per Taranto. Non solo per dignità di spesa pubblica, ma soprattutto per una visione nuova del nostro Paese nel mondo e nel Mediterraneo. E magari come nuova capitale del Mediterraneo di Pace e in Pace.
Si spera.