I 5mila razzi su Israele non provengono solo dalla striscia di Gaza, ma da molto più lontano nello spazio e soprattutto nel tempo. L’ebreo ungherese Theodore Herzl, nativo di Budapest dopo una breve carriera forense distribuita fra i tribunali di Vienna e Salisburgo, abbandona le aule di giustizia per inseguire la vocazione letteraria. Così nel 1891 fa il corrispondente della Neue Freie Presse viennese a Parigi, dove segue con passione il processo per spionaggio a favore della Germania subito ingiustamente dal capitano Alfred Dreyfus. Il moto di sdegno per quell’accusa ed il successo in Austria dell’antisemita Karl Lueger ispirano nel 1896 a Herzl la stesura di Der Judenstaat, il libro-manifesto in cui rivendica la creazione di una nazione autonoma per gli ebrei in Palestina. È il principio fondativo del sionismo, da Sion, l’antico nome di Gerusalemme.
Iniziano gli insediamenti ebraici in Palestina. Gli autoctoni vendono a gruppi provenienti dall’Europa lotti di deserto secondo loro privi di valore e invece destinati a diventare oasi di coltivazioni, perfettamente irrorate dall’acqua ricavata a grandi profondità nel sottosuolo. Fino al Grande Equivoco, la Dichiarazione di Balfour, il 2 novembre 1917. La prima guerra mondiale sta per concludersi con la sconfitta dei tedeschi e la distruzione dell’impero ottomano. Gli inglesi vedono l’occasione per espandere l’impero nel Medio Oriente, come hanno già fatto il 23 maggio dell’anno prima con l’accordo segreto Sykes-Picot che prevedeva una spartizione delle zone di influenza nell’Asia Minore, cui ha dato l’assenso anche lo zar Nicola II Romanov.
Il Ministro degli Esteri britannico, Arthur Balfour, e Lord Rotschild, in qualità di principale rappresentante degli ebrei d’Inghilterra, sottoscrivono un documento nel quale il Governo di Sua Maestà afferma di vedere con favore l’insediamento in Palestina di una national home (dimora nazionale) del popolo giudaico. I coloni ormai stabilitisi in Terra Santa e il consesso mondiale israelita ritengono sancita la realizzazione del progetto sionista di Herzl. Non importa se di fatto venga disposto il protettorato britannico su quel territorio ridotto a una commistione di ebrei e palestinesi a macchia di leopardo.
I problemi sorgeranno dopo, al termine del secondo conflitto mondiale, quando gli insediati rivendicano l’autodeterminazione anche con la violenza. Si pensi all’attentato del King David Hotel di Gerusalemme, il 22 luglio 1946, che provocò 91 morti e 46 feriti. A perpetrarlo è l’Irgun, il famigerato gruppo paramilitare ultrasionista di cui fa parte anche Ytzhak Shamir, più tardi primo ministro di Israele due volte. E i palestinesi? Per loro la via crucis comincia il 14 maggio 1948, quando David Ben Gurion proclama la nascita unilaterale dello stato di Israele. I palestinesi la chiamano nakba, in arabo «cataclisma», «catastrofe», «disastro».
Si innesca una situazione di instabilità permanente e conflittuale che nessun leader, né israeliano, né arabo, riuscirà a sanare. Non il trattato di Camp David, per esempio. Tanto meno le mediazioni internazionali, comprese quelle dei governi italiani. Di qui l’ascesa di Hamas, acronimo di Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, Movimento Islamico di Resistenza, che costruisce scuole, ospedali e consultori nella striscia di Gaza, conquistando le menti e i cuori di un popolo che si sente abbandonato da tutti. Per di più con la sponda di Daesh, la Jihad, e dell’Iran fondamentalista, la cui finalità è distruggere Israele.