Non ha avuto in Italia il rilievo mediatico che forse avrebbe meritato il gesto politico compiuto da Macron nel segno di un’apertura alla condivisione con le opposizioni di alcune questioni ritenute «preliminari» rispetto ai grandi temi della democrazia. Monsieur le Président ha invitato a cena i leader politici di maggioranza e opposizione nella Pensione della Legion d’Onore, a Saint Denise, non lontano da Parigi, per discutere, in una cornice che restituisce un forte retrogusto di grandeur imperial-repubblicana, di assetti internazionali e di istituzioni democratiche.
Nella serata di un’estate che ancora porta i segni delle giornate di guerriglie urbana e delle fratture incolmabili tra la deprivazione assoluta delle periferie - che si tingono di rancore per la segregazione delle minoranze etniche confinate nelle banlieu- e i luccichii delle avenue commerciali delle città metropolitane, si sono guardati in faccia i rappresentanti del popolo francese, in verità sempre meno rappresentativi ( alle ultime politiche andarono a votare solo poco più di quattro elettori su dieci), ancor meno che da noi. I temi erano cruciali: gli equilibri internazionali dopo la guerra alle porte di casa Europa, il destino dell’UE, le riforme istituzionali in un contesto globale che fa fatica a trascinare nella realtà odierna i canoni della democrazia sanciti dal costituzionalismo novecentesco. Le discussioni sono state a porte chiuse e dunque non allestite in favore dei media, particolare non irrilevante.
Quale che possa essere il giudizio sugli esiti del gesto macroniano, ci colpisce l’invito in sé rivolto all’universo politico e non alla maggioranza che ha consentito l’elezione del presidente, partendo dalla consapevolezza della gravità del passaggio storico che impone, per il bene del paese, una nuova postura istituzionale capace di coinvolgere tutte le risorse disponibili. Insomma: se la situazione è così complessa da implicare la revisione degli antichi approcci, bisogna riformulare insieme i termini del «patto» che tiene insieme la dialettica democratica francese.
Non mi pare che aleggino in questo tentativo di Macron suggestioni consociativistiche, piuttosto si scorge c’è la presa d’atto della gravità del momento e della necessità di condividere risorse e visioni sulle regole del gioco.
La situazione italiana, al netto della guerriglia urbana che per ora ci è stata risparmiata, non è troppo diversa. La frattura sociale è forte anche da noi con l’aumento del divario tra la «periferia meridionale» e i nord nel Paese; le povertà, non solo economiche, ma anche culturali e sociali, aggrediscono fasce sempre più ampie di popolazione solcando il gap tra le giovanissime generazioni e gli adulti, denunciando plaghe di degrado umano dove l’incultura e l’inconsapevolezza si mischiano a comportamenti criminali. La crisi profonda della politica ha reso estranei i partiti alla gente, e con essi anche le dinamiche democratiche, a partire dalla partecipazione al voto.
Il quadro internazionale, con i suoi allarmi e i suoi canoni obsoleti è ovviamente condiviso con quello francese ma noi abbiamo, in sovrappiù, l’impatto dei flussi migratori, con un peso straordinario sul piano sociale ma anche politico, come argomento «contundente» brandito nelle campagne elettorali. In ultimo si vagheggia di riforme costituzionali con una leggerezza preoccupante, quasi che si trattasse di faccenda della maggioranza e non fosse la regola del gioco di tutti.
Ecco, forse un «patto preliminare» tra maggioranza e opposizione andrebbe ricercato anche in Italia, attraverso la moral suasion del presidente del Consiglio oppure, ove mai qualche oppositore fosse impegnato a rispettare una dieta incompatibile con gli inviti a cena della on.le Meloni, istituzionalizzandolo. Potrebbe agire, ad esempio, una commissione parlamentare bicamerale presieduta da un esponente dell’opposizione. Si potrebbe partire dai temi economici e dal necessario coinvolgimento di tutte le forze politiche nell’utilizzo del PNRR fino all’ultimo centesimo. Qualcosa, però, andrà fatto: Macron avrà avuto pure ragioni tattiche nel convocare la cena con gli oppositori. Ma, di certo, non ha sbagliato.