Non sottovalutate la Giorgia, non è la coatta sprovveduta, leader per caso, ma un avversario difficile e temibile, con cui bisognerà fare i conti forse a lungo e trovare presto le giuste contromisure.
Prendiamo la questione del salario minimo, che è diventata la bandiera unificante per tutte le opposizioni. Che fa la Giorgia? Non rigetta, ma accetta e apre la discussione. Mostra interesse e gioca, a sorpresa, la carta CNEL e Brunetta che è una carta -a mio avviso- intelligente. E non perché Brunetta è stato ministro del Governo Draghi appoggiato da tutte quelle forze che adesso sono opposizione e che avrebbero difficoltà a contrastarlo. Ma perché è uno bravo, scafato e navigato, che pur rotto a esperienze di vario genere, ha conservato, in un certo senso, un minimo di coeur à gauche, e, potrebbe trovare una soluzione saggia ed equilibrata non solo al salario minimo, ma anche alla questione contrattuale e della rappresentanza. In questo modo Giorgia prova a depotenziare la forza d’urto delle opposizioni, accogliendone quanto meno le aspirazioni. E contemporaneamente mette in difficoltà i suoi alleati, rafforzando il suo ruolo egemone nella coalizione. Perché, diciamola tutta, la questione salariale non dispiace alla Giorgia, erede della destra sociale, mentre resta indigesta a Forza Italia e soprattutto alla Lega che ha la sua base sociale di riferimento negli industrialotti della Brianza et similia. A questo punto alla sinistra si pone un dilemma. Attaccare a fondo la Meloni considerando la sua scelta un rifiuto o una fuga? Sparare ad alzo zero come fa il Fatto Quotidiano (la Meloni in un vicolo cieco. Con Brunetta, addio salario. Parassiti, è la peggio Italia?). O argomentare, ferma restando la raccolta di firme che cosi riuscirebbe rafforzata, che la scelta di Brunetta e del CNEL può essere considerata un punto a favore della sinistra? Che su questo tema, unificante per le opposizioni, la Giorgia si è vista alle strette ed è stata costretta, dalla forza delle opposizioni unite, a dare una risposta non negativa, se non addirittura positiva? È una questione di strategia su cui la sinistra deve riflettere e si dovrà misurare.
Stesso discorso vale per la tassa sugli extra profitti. Sia pure in maniera scalcagnata il Governo attua un provvedimento idealmente di sinistra. Criticare tout court o approfittarne per creare problemi alla coalizione che anche su questo tema è divisa? Ed anche sulla Giustizia le riforme Nordio vanno rigettate in toto? Anche sull’abuso di ufficio in quel quid di garantismo che contengono e che è sempre stato una bandiera della sinistra, prendendo, almeno un po’, le distanze dal giustizialismo che per troppo tempo la ha affascinata?
Nessuno ha la ricetta, tantomeno io, ma bisogna decidere su come far politica non trascurando comunque la propaganda, sapendo che la propaganda paga ed è utile. Se dividere gli avversari approfittando di divergenze tattiche o attaccare la coalizione di governo nel suo insieme rafforzandone l’unità (come nella mozione di sfiducia alla Santanchè)? Ed infine qualche parola sull’occupazione da parte della destra di centri decisionali e di posti di potere nel campo della cultura. Io credo che si tratti di semplice, e prevedibile, spoil system, figlio del complesso di inferiorità della destra di fronte a una sinistra oggettivamente e pacificamente più attrezzata sul piano della cultura.
Non si tratta quindi di “sostituire“ una egemonia culturale perché quella, la sinistra, non la esercita più da almeno cinquant’anni; da quando ha smesso di essere una forza di cambiamento vero e reale ed è diventata soprattutto un baluardo di difesa delle conquiste della guerra di liberazione e della grande stagione riformista degli anni 70. Una sinistra, in un certo senso, difensiva e conservatrice (del buono, ovviamente. Di tutto il buono conquistato che va conservato e protetto), ma senza una vera spinta al cambiamento, anche radicale, che è l’essenza della sinistra. Diciamola tutta. Quelli che oggi, soprattutto i giovani, aspirano al cambiamento non votano PD.
Votano 5 stelle o addirittura FDI sbagliando ovviamente perché si tratta di cambiamento fasullo, se non negativo, ma comunque non votano il PD che vedono come il partito che pur di stare al Governo (in buona fede, intendiamoci, per fare gli interessi del Paese) si è fatto carico di tutte le compatibilità del mondo (il famoso e infausto I care di veltroniana memoria) , dimenticando di farsi carico dei problemi e dei bisogni del ceto di riferimento, quello dei lavoratori e delle masse popolari. Per dire, in molte occasioni, la sinistra non ha capito e interpretato la spinta di ceti dinamici della società italiana all’innovazione e, per certi versi, alla modernizzazione della società stessa, che è stato invece un cavallo di battaglia di Berlusconi che tanto ha contribuito ai suoi successi. Lo spiega bene Oscar Iarussi in un articolo sulla Gazzetta del 29 agosto in cui tratta del pregiudizio antindustriale e quindi di fatto antimoderno, cha ha attraversato buon parte della sinistra nel secolo scorso.
E se un’egemonia culturale si è esercitata negli ultimi trent’anni, è stata quella berlusconiana che ha influenzato in maniera determinante lo stile di vita e il modo di pensare degli italiani, non certo quella della sinistra che deve , quindi e invece, tornare a volare alto. E questo, a mio modo di vedere, è quello che sta cercando di fare Elly Shlein, sia pure con i suoi limiti, che sono tanti. E questo è il tentativo che va fatto. Tornare ai fondamentali del pensiero socialista, in cui la sinistra tutta, dovrebbe impegnarsi. La Meloni ha dimostrato che non sempre si vince inseguendo il centro (e anche Sanchez in un certo senso si è mosso nella stessa direzione promuovendo riforme di sinistra senza compromessi). E quindi una buona dose di radicalismo può essere utile, se non indispensabile, almeno in una fase di rottura dei vecchi schemi che non hanno funzionato e hanno portato al declino.