Quanti danni fa, l’autoreferenzialità dei giornalisti e degli intellettuali. Induce al conformismo e a una lettura monocorde della realtà in una sorta di autoipnosi. L’oggettività diventa secondaria, quel che conta è la conformità al pensiero dominante, dunque del politicamente corretto, che negli ultimi tempi ha condotto alla ghettizzazione di chi, per quanto autorevole, ha continuato a pensare con la propria testa. La conseguenza ultima è lo scollamento fra il mondo narrato dai media e una parte importante, verosimilmente maggioritaria dell’opinione pubblica, emerso con inaspettata chiarezza questa estate. Piccoli fatti e grandi eventi convergono nel convalidare questa interpretazione.
È noto il consenso prevalente nei salotti buoni della cultura e della stampa su temi al centro della nostra epoca come inclusione, sostenibilità, multiculturalismo, gender, cambiamento di sesso, ecologia, immigrazione. Sono sensibilità che politicamente vengono rappresentate dalla sinistra «figlia» della globalizzazione e sono state talmente reiterate che, con il passare degli anni avrebbero dovuto condurre a una generale accettazione. Ma se fossero davvero sentite dalla maggior parte della popolazione, il PD di Elly Schlein svetterebbe nei sondaggi e i partiti progressisti vincerebbero le elezioni nella maggior parte dei Paesi occidentali. Così, però, non è. L’anomalia di questa estate è che per la prima volta il tappo del conformismo è saltato, ma non dalla parte degli intellettuali, bensì da parte del popolo. In Italia e non solo.
Per quale ragione il libro del generale Roberto Vannacci ha suscitato tanto clamore? Perché al netto di alcuni concetti estremi e molto discutibili, ha dato voce al disagio intellettuale e valoriale di una parte importante del pubblico italiano, che finora ha seguito in silenzio la grande agenda mediatica delle élite intellettuali, senza però farsi convincere. È come se l’assolutismo di certe posizioni stia provocando un rigetto e dunque effetto boomerang.
Se deve scegliere fra il libro di Vannacci e quello della Murgia, l’italiano di quella che un tempo era la maggioranza silenziosa, sceglie il primo, nonostante l’enorme cordoglio per la scomparsa della scrittrice sarda. E questo non significa che sia intollerante o addirittura omofobo o razzista, idee che non sono affatto diffuse nel tessuto sociale italiano. Significa che l’Italia maggioritaria resta quella di provincia, poco sensibile alle grandi influenze culturali sovranazionali, radicata nella propria identità, nelle tradizioni, che continua a credere nella famiglia e, in fondo, in un mondo «borghese», intriso di moderazione di chiara impronta cattolica (nonostante le messe siano sempre meno frequentate). Un’Italia che sfugge al radar dei grandi media, palesando un divario sempre più marcato tra i grandi agglomerati urbani, dove l’identità è più sfilacciata e porosa (dove, infatti, il PD raccoglie i maggiori consensi), e l’altra Italia che solitamente non fa notizia e che resta maggioritaria.
Non si tratta di un fenomeno solo italiano. Negli Stati Uniti l’incredibile successo di Trump, a dispetto dei suoi guai giudiziari, è sintomatico della reazione di una parte importante del Paese contro la cultura di sinistra e gradita all’establishment. L’ex Presidente è diventato il simbolo di un’America repubblicana e ancorata ai valori tradizionali che non ne può più degli eccessi di una cultura progressista , che sfocia nella cancel culture e trasforma i bagni transgender in una battaglia di civiltà. Non è un caso che una pellicola indipendente, The Sound of Freedom, che denuncia la tratta dei bambini in America, abbia ottenuto incassi record, risultando uno dei film più visti di luglio e agosto, a dispetto dell’ostinato e incomprensibile boicottaggio di Hollywood e dell’establishment. E ha sorpreso tutti il successo di un cantautore sconosciuto fino a ieri, Oliver Anthony, che canta la ribellione contro la cultura woke e dà voce all’America dei disperati, dei poveri e degli esclusi che un tempo votava Democratico e ora si riconosce in Trump. Musicalmente nulla di rivoluzionario, trattandosi di Country music tradizionale, ma la sua travolgente ascesa, fino a toccare la cima alle classifiche dei brani più ascoltati, assume una valenza straordinaria e inaspettata, che conferma la sensazione di insofferenza e di rottura di un patto sociale.
C’è una parte di Italia, una parte di America, una parte verosimilmente anche di Europa, che non si riconosce in una società troppo liquida, troppo fluida, senza ancoraggi in un mondo che cambia troppo in fretta. E che è, palesemente, stufa.