Voi dite: ma vedi questo qui che ci viene a parlare di scuola mentre fa un caldo boia e l’inflazione ci toglie le vacanze. Caro lettore, più che di scuola, di Invalsi: ancora peggio. Perché l’Invalsi non è solo la sceneggiata nazionale annuale puntuale come il Natale il 25 dicembre. Soprattutto a danno del Sud, dove vive la maggior parte di quel 50% di studenti che leggono e non capiscono cosa leggono. Quelli che a malapena sanno che due più due fa quattro. E che parlano l’inglese con lo stesso accento della curva Nord di uno stadio. Con la conclusione che i peggiori asini d’Italia allignano dal Molise in giù. Senza mai dire, sia mai, che a proposito di asini quelli del Nord sono i peggiori d’Europa.
Il problema è che, fatta la diagnosi, non c’è mai uno straccio di terapia. Cosicché la patria di Dante e di Leonardo continua a spendere per la scuola come un Burundi qualsiasi (con tutto il rispetto). Ovviamente meno al Sud. Dove i risultati negativi dell’Invalsi partono da lontano con una tale precisione da sospettare una intelligenza artificiale invece di una dolosamente umana. Primo passo: meno asili nido pubblici rispetto al resto del Paese. Laddove l’asilo nido non è solo un modo di togliersi i bambini di casa, ma di avviarli ad alfabeto e calcoli. Secondo passo: meno tempo prolungato a scuola, talché un bambino di Brindisi o di Potenza fa quattro ore a settimana in meno di uno di Varese o di Parma. A fine corso, è come se avesse frequentato un anno in meno. Frequentato e appreso.
Lasciamo stare, per non infierire, tutti i restanti «meno» con i quali si danneggia il Sud: meno mense scolastiche, meno biblioteche, meno scuolabus, meno palestre. E genitori meno istruiti, effetto collaterale del minor reddito. Allora tu Invalsi arrivi in pompa magna alla fine di questo calvario e che pretendi, che al Sud ci siano geni nonostante tutto? Ma siamo solo all’inizio del disegno criminoso, come direbbero in procura della repubblica. Perché un territorio privato di cultura oltre che di economia (causa la perenne minore spesa dello Stato) è programmato per essere quello stesso dal quale i ragazzi andranno via. In fuga da prospettive di lavoro più che dalle locali università. Si chiama emigrazione. Non un caso né un destino, ma una conseguenza matematica. Devi andartene, ragazzo del Sud, altrimenti come fanno ad arricchirsi al Nord? Come fanno senza il tuo fitto, le tue pizze, i tuoi spritz, senza i 10 mila euro medi all’anno che ti mandano i tuoi? Quando ve ne siete tornati in massa per il Covid, i rettori di alcune università settentrionali hanno protestato, e ora come facciamo? Finito il business. E poi tu produrrai lì, accentuando quel divario dal quale sei scappato. Ma quelli conteggeranno il tuo apporto come cosa loro, quanto siamo bravi. Perché il reddito indotto dei meridionali non è stato mai calcolato.
Così come quello della grande emigrazione dopo la guerra. La ricostruzione. Non è corretto dire che senza i meridionali non ci sarebbe stato il miracolo economico. Bisogna dire che i meridionali dovevano andare al Nord per farlo. Perché solo lì lo Stato aveva contribuito a far crescere l’industria e come facevano senza tutte le braccia necessarie? Fabbrica al Nord e manodopera dal Sud: questo il disegno. Al Sud qualche fabbrica era stata dislocata, ma di quelle chimiche e siderurgiche sulle quali il Nord non ha mai fatto resistenza. Perché gli servivano acciaio e semilavorati, ma non l’inquinamento conseguente. In più, il Sud doveva essere il mercato deciso a tavolino al quale vendere quei prodotti che non si sarebbero mai avuti senza i meridionali stessi. Più i voti che i meridionali riconoscenti garantivano alle elezioni.
Vedi alla voce: colonialismo. Però bisognava impedire a questi meridionali di mettersi da sé, nonostante tutti gli svantaggi. Impedirgli di crearsi una propria economia e un proprio mercato. Perciò separiamoli fra loro, non diamogli collegamenti: da Bari a Napoli, cambiare a Caserta, che palla. Merci, e uomini, e idee che abbiano difficoltà a incontrarsi. Autostrada del Sole per ricucire il Paese, fino a Napoli e stop. Con giornali e tv private del ricco Nord impegnati a raccontare non la verità ma un Sud inferiore (magari anche culturalmente come Invalsi dixit) piuttosto che un Sud assoggettato alla trappola di un disegno. Non a un complotto, ma che dite.
Ecco perché quando arriva l’Invalsi si chiude il solito cerchio. Altro giro, altra corsa. Per dare al Sud solo il tempo prolungato a scuola che gli spetta, ci vogliono quattro miliardi. Ma da dove li prendiamo? E per chi, poi? (Intanto alla Maturità la Puglia prende i migliori voti d’Italia. Chi ha ragione, l’Invalsi o gli insegnanti locali? Non importa, essenziale è che tutto resti così in attesa dell’Invalsi dell’anno prossimo).