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Cervelli fuggiti? il ritorno non è solo questione di soldi

 
Amerigo De Peppo

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Amerigo De Peppo

Cervelli fuggiti? il ritorno non è solo questione di soldi

«Papà, l’Italia è un Paese morto, io vado a laurearmi in Cina e spero di costruire là il mio futuro». Con queste poche parole mio figlio Giuseppe mi comunicò la sua decisione

Sabato 15 Luglio 2023, 13:14

«Papà, l’Italia è un Paese morto, io vado a laurearmi in Cina e spero di costruire là il mio futuro». Con queste poche parole mio figlio Giuseppe mi comunicò la sua decisione. Ferma e non negoziabile. Era il 2008 e da allora, se si escludono le sue vacanze in Italia e le mie vacanze in Asia, il rapporto quotidiano tra padre e figlio è affidato al buon… cuore di Whatsapp.

Certo, sono passati 15 anni e ora Giuseppe è un apprezzato manager nel Sud Est asiatico: i fatti gli hanno dato ragione e se da un lato la sua lontananza mi rattrista, dall’altro sono orgoglioso di come si sia fatto strada da solo, senza dover mai ricorrere all’italico istituto della raccomandazione.

Ora leggo con piacere che il Governo ha in mente alcune misure per favorire il rientro in Italia dei nostri ragazzi e indurre quanti abbiano in mente di espatriare a ripensarci. Questo fenomeno di migrazione intellettuale, si sostiene, priva di importanti energie innovative il Paese che pure tanto ha investito nella loro formazione.

Non è un caso però che io abbia detto di aver accolto questa notizia con piacere e non con interesse: ritengo infatti difficile se non impossibile che un qualsivoglia tipo di incentivi possa indurre mio figlio a tornare in Itala, a rinunciare ala brillante carriera che si è costruito così lontano da casa. E francamente non so dargli torto. L’Italia è il Paese del precariato, ma soprattutto caratterizzato da gerarchie feudali sul posto di lavoro. Chi non ha l’appoggio del potente di turno resta fatalmente indietro rispetto a chi può contare su quella spintarella e la sua professionalità non è tenuta in alcuna considerazione, soverchiata dal peso specifico fasullo dei competitor raccomandati.

Ecco, dunque, che chi come mio figlio ha assaporato il piacere di sentirsi considerato in base al suo valore, difficilmente accetterà di vedere mortificata la sua professionalità dal primo yesman che capita.

Insomma, se è stata una scelta giusta, malgrado le non poche polemiche, inserire la parola merito nel nome del ministero dell’Istruzione, ora questo importante valore deve diventare l’elemento centrale del mondo del lavoro. Lo dobbiamo ai nostri figli, come lo dobbiamo a quanti lavorano nel nostro Paese, perché non basta, non può bastare un solo aiuto economico a indurli a riprendere la via di casa.

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