«Di solitudine si muore: è questa la nuova epidemia in corso che ci accompagnerà nei prossimi anni». L’appello arriva dal dottor Vivek Murthy, capo operativo del Public Health Service Commissioned Corps. L’ente che coordina il servizio sanitario pubblico negli Stati Uniti di cui Murthy è principale portavoce. Negli scorsi giorni il professore ha presentato alla stampa americana un report di 80 pagine, all’interno analisi, dati e conferme oggettive riguardo l’allarme lanciato.
Una situazione aggravata dal Covid, di cui però la pandemia non è origine. In un Paese dove un adulto su cinque e un ragazzo su tre convivono con una qualche patologia mentale, il Coronavirus è stato solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso pieno già da tempo. Nella relazione Murthy illustra la sua affermazione con la forza dei numeri. Circa la metà degli americani adulti vive nella condizione psichica che lui denuncia.
Ma l’aspetto più interessante dello studio non è quello social/psicologico, già anticipato da altri suoi colleghi, quanto quello medico: insonnia, alterazioni immunitarie, patologie cardiache, alimentari, algiche e, ovviamente, ansia, depressione, dipendenze da alcol e sostanze stupefacenti. Alcuni esperti stimano che il rischio di morte prematura a causa di tutto questo può aumentare del 30%.
È un punto importante per la comunità (sia questa scientifica e non), aver dimostrato per l’ennesima volta il forte legame tra il benessere mentale, quello sociale e lo stato di salute fisico. La socialità è alla base dell’apprendimento dell’empatia e di tante altre funzioni chiave del cervello, la nostra mente è disegnata per interagire con gli altri. Se non lo fa soffre e, se sta male il cervello, sta male l’individuo nel suo complesso.
Dall’incrocio dei dati di Istat e Censis emerge come, dal 2001 ad oggi, nelle città italiane i single siano raddoppiati. Nella Capitale i single sono passati dal 28%, registrato nel 2001, al 47,5%. A Milano la percentuale è addirittura del 52,8%, con i single (379 mila) che superano del doppio le coppie (quasi 164 mila). In Italia, nel 2020, più di 13 milioni di persone appartengono alla fascia di età over 65.
Per affrontare un’epidemia di tale portata è necessario pensare e attuare interventi radicali orientati da visioni politiche, economiche e sociali nuove, nate dalla consapevolezza dell’importanza della posta in gioco. Una rinnovata visione del mondo che sfidi la disoccupazione, l’emarginazione e il vuoto culturale. E che lo faccia in maniera pragmatica e concreta, immaginando risposte adeguate al contesto attuale e a quello futuro. Da evitare, per essere chiari, le vecchie ricette del passato che per giunta fallirono anche all’epoca.
Ma proprio per la complessità multifattoriale del tema, la consapevolezza della sua importanza è la condizione fondamentale per dare origine alla costruzione delle risposte sistemiche e puntuali. La cosiddetta «società civile» dovrebbe pretendere che si parli e si affronti questa emergenza, ricordandosi sempre che a farlo devono essere i politici votati (astenersi dalle urne non vale, matematicamente significa solo rafforzare la maggioranza che c’è).
Purtroppo, la sensazione è che anche stavolta, come spesso avviene in Italia su temi e fenomeni socio/economici, la tendenza sia quella a sottovalutare la portata del fenomeno e la sua pericolosità. È successo con i grandi fenomeni economici che hanno riguardato l’Italia del dopoguerra, costringendoci poi all’inseguimento perenne, sempre faticoso, spesso insufficiente. Far finta di non vedere quello che sta per succedere, ha portato sempre più persone a vivere una nuova condizione: la povertà. Quest’ultimo dato è quello che risulta essere il più preoccupante.
La speranza è che, almeno, davanti ad un fenomeno che riguarda la nostra stessa salute non sia meglio fermarsi e interrogarsi sulle possibili strade per invertire la rotta. Consapevoli dell’esistenza di un grande scoglio per le nostre coscienze. Se i grandi fenomeni economici, infatti, ci permettono di scaricare sempre la colpa su qualcun altro (globalizzazione, Cina, banca centrale, Europa, Soros, e chi ne ha più ne metta), per l’epidemia della solitudine questo non sarà possibile. Perché a dover essere messo in discussione è il nostro modello di vita. Il nostro modo di vivere le relazioni, di interpretare le fasi della vita che viviamo e che vivono le persone che ci circondano. In una situazione del genere è importante chiedersi: a chi tocca innescare il cambiamento?
Al netto del grande tema della sostenibilità di un sistema che rimetta al centro la persona e non solo la sua ricchezza economica, infatti, c’è da chiedersi se davvero siamo consapevoli, tra un click e l’altro delle nostre frenetiche giornate, quanto necessario sia tornare ad alzare lo sguardo dallo schermo e dedicare tempo e chi si ritrova solo già oggi. Domani, di sicuro, ne avremo bisogno noi.