Il dato politico delle primarie è inequivocabile. I nostri elettori chiedono un PD chiaro e riconoscibile sulle grandi sfide del nostro tempo: l’ambiente e le diseguaglianze sociali, le migrazioni e la lotta alle discriminazioni.
Siamo dentro una trasformazione gigantesca che si riverbera con una velocità impensabile sulla vita delle persone, sugli assetti sociali, sulle istituzioni democratiche. Per questo sarebbe un grave errore leggere tutto questo con gli occhiali del Novecento; parlare di radicalità oggi non significa spostarsi verso l’estremità dell’asse politico, ma riscoprirne il senso etimologico di andare alla radice dei problemi. In fondo il primo a parlarne è stato proprio Papa Francesco. E mi sembra sia qui la ragione per cui alle primarie Elly Schlein abbia goduto di un apporto importante da parte dei giovani cattolici.
Il tema, allora, è maturare una visione e una risposta di sistema ai tanti interrogativi che solleva questo tempo completamente nuovo. È da qui che passa, oggi, la credibilità della politica. La destra lo ha capito da tempo. E lo gestisce, sul mercato del consenso, trasformando lo straniamento intrinseco a ogni cambiamento in nuove paure. È la destra che continua a vendere il fenomeno epocale della migrazione come un tema di ordine pubblico, che racconta la questione ambientale come un vezzo da sinistri acchiappanuvole.
Se non vogliamo che passi l’equazione truffa del Green New Deal come minaccia per i ceti più deboli, per i posti di lavoro, per le case e le automobili degli italiani, dobbiamo reagire presto e bene. Facendo del nuovo PD la forza che immagina un nuovo modello di sviluppo attraverso la tutela del lavoro, il contrasto alle corporazioni e a tutto quello che blocca l’ascensore sociale e la competitività del sistema produttivo, l’ambiente come la più grande infrastruttura sociale del futuro.
Una sfida che interpella molto da vicino proprio i cattolici democratici chiamati, per storia e sensibilità, a portare un contributo fondamentale su almeno tre fronti. Il primo sta nella ragione fondativa del cattolicesimo democratico, ossia la sua capacità di alimentare una dinamica virtuosa tra piano politico e dimensione sociale attraverso il ruolo dei corpi intermedi, del terzo settore, delle reti di volontariato, di tutto quello cioè che organizza la società in un’ottica di avanzamento sociale; senza quest’incontro fecondo, anche le migliori politiche rischiano di accartocciarsi in un illuminismo normativo o, peggio ancora, in un pedagogismo che guarda la società come un soggetto passivo e non come elemento attivo del cambiamento.
Il secondo fronte è quello della manutenzione degli strumenti democratici. È dagli ambienti del cattolicesimo democratico che, nelle svariate crisi che si sono succedute in questi anni, sono arrivati i contributi più importanti per mettere in sicurezza le nostre istituzioni. Oggi questa difesa deve tramutarsi in un rilancio degli strumenti della partecipazione alla vita democratica, nella convinzione che la democrazia non può ridursi a semplice delega se vuole garantire la sua sostanzialità nella società complessa e iperveloce. Il terzo elemento è quello della dimensione etica dell’impegno collettivo, del principio della dignità umana come faro che orienta la posizione del nuovo Partito Democratico in tutti i temi che investono o mettono a rischio questo valore.
Davanti a una destra che alimenta nuove e vecchie paure, il ruolo del cattolicesimo democratico è essenziale per dare spessore e prospettiva a una politica del cambiamento: quella che nelle trasformazioni valorizza le opportunità e mette un argine alla criticità. Perché sa che il vento non si ferma con le mani e il futuro, ogni futuro, può essere un tempo migliore. Basta volerlo. In fondo lo spirito del riformismo è tutto qui.