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Meloni e Schlein il bipolarismo senza terre di mezzo

 
Pino Pisicchio

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Pino Pisicchio

Radicale ed entusiasta, il Pd di Elly Schlein alla prova dell’unità

Non credo che il PD sia destinato a perdere un po’ di ceto dotato di globuli democristiani a causa dell’avvento della sinistra/sinistra

Domenica 05 Marzo 2023, 13:44

Nell’alacre biografismo scatenatosi attorno alla figura di Elly Schlein (che il sistema T9 ha imparato a riconoscere, perché prima della vittoria la trasformava in «Schlesinger»), ritorna spesso la sua iniziativa politica, intrapresa giusto 10 anni fa, per supportare Romano Prodi e stigmatizzarne il trucidamento per mano dei 101 parlamentari che non lo vollero Presidente della Repubblica. L’iniziativa si chiamò «Occupy Pd»: operazione all’epoca andata così e così ma perfettamente riuscita alla scadenza anniversaria, diremmo. Se dovessimo stare alle declinazioni dei massimi e astratti sistemi, diremmo pure che l’elezione della prima donna alla guida di un partito progressista - ipotesi che non era neppure contemplata per astratto nei sogni di madri della Patria come Nilde Iotti - segnerebbe un netto spostamento a sinistra del PD che, sempre astrattamente considerando, dovrebbe rappresentarsi come l’erede degli eredi del PCI e della democristianità di sinistra. Per la personale formazione culturale della Schlein, per il suo coinvolgersi nei temi politically correct, per il privilegiamento degli orizzonti ambientalistici e del gender, insomma per la sua Weltanschauung schiettamente schierata, sarebbe difficile configurarsela come qualcosa di diverso della persona destinata a fare la re-union di tutti i pezzi del variopinto arcipelago della sinistra-sinistra, sparsi tra diaspore e utilitarismi elettorali.

Ma stiamo ancora nella congettura toponomastica della politica, che assegna un’appartenenza ed un progetto, solo chiamando per nome. Francamente non credo che il PD sia destinato a perdere un po’ di ceto dotato di globuli democristiani (quanto al popolo, quello è una «ics» per tutti: un’incognita assoluta) a causa dell’avvento della sinistra/sinistra. Inoltre è da dimostrare che la nuova segreteria del PD voglia davvero spingere l’acceleratore su temi divisivi e non inclusivi: in fondo la vicinanza con le pratiche prodiane lascia piuttosto immaginare una sua propensione per il modello ulivista. Inclusivo e prodianamente «affabulatore».

Piuttosto sembra affermarsi una certa simmetria tra la segretaria del Pd e la presidente del Consiglio: due donne egemoni in mezzo a leadership maschili declinanti, e ispirate dall’ambizione di disegnare un bipolarismo compiuto e funzionante. È questo, almeno sulla carta, il colore dell’albeggiare del nuovo tempo della politica che tenderebbe a riproporre lo schema «o di qua o di là» caro al primo maggioritario di trent’anni fa: via le terre di mezzo. Inoltre il ribaltamento del voto dei gazebo rispetto a quello delle sezioni per la scelta del leader del PD ha introdotto un inedito su cui occorrerà riflettere: il partito (o quel che di lui resta) non è più fatto da una comunità di sodali ispirata da un idem sentire e governata da regole declinabili giuridicamente. Il partito, almeno quello Democrat, ha misurato i confini estremi della fluidità identitaria, superando anche lo spazio giuridico del collegamento testimoniato dall’adesione e rendendo inutili le procedure congressuali destinate alla sola comunità degli iscritti. È dunque una cosa nuova, sicuramente più aperta, ma forse anche più esposta ad incursioni di estranei interessati. Anche su questo occorrerà riflettere. Laicamente.

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