Sempre più lavoratori e lavoratrici sono «persone» che cercano lavoro.
Non stanno più dentro schemi riduttivi della loro personalità, sono giovani, uomini e donne che sanno chi sono e che vogliono contribuire con il proprio contributo ad un progetto lavorativo che impatta anche sulla costruzione del sociale.
Sono persone abituate ad esprimere ciò che pensano e soprattutto ciò che sentono, abituate a credere nel valore del proprio sguardo sugli eventi e del proprio «scopo di vita e lavoro» come persone uniche e irripetibili. Non accettano e non permettono di sentirsi inadeguati a causa di atteggiamenti prepotenti e discriminanti, basati sull’abuso di potere legati al ruolo, all’età, all’anzianità di servizio o al sesso. Non in modo arrogante o presuntuoso, ma con fare assertivo, non temono il giudizio degli altri e sanno essere fedeli a sé stessi, cercando il modo giusto di porsi in relazione e in comunicazione con il leader e con il gruppo, per trovare le soluzioni migliori e per lavorare in team coinvolgendosi e coinvolgendo.
Sanno distinguere l’ego dalla personalità e cercano e adottano le soluzioni più funzionali nei contesti organizzativi complessi, in cui non esistono risposte giuste o sbagliate ma sfumature di colori che possono dare armonia all’insieme, attraverso il dialogo e il confronto generativo.
Queste persone, però, hanno un limite forse un valore aggiunto: non si adattano a contenti tossici, autoritari o lassisti, competitivi o fondati sullo sfruttamento di chi lavora, considerando le persone come strumenti del processo di produzione. Non accettano, inoltre, di mettere a disposizione il proprio talento, per coloro che non hanno uno scopo imprenditoriale generativo e sociale, ma che speculano con le attività che amministrano solo per arricchirsi o moltiplicare il business per un delirio di onnipotenza e una mancanza di visione globale e di responsabilità collettiva. E di queste persone giovani e meno giovani, ce ne sono sempre di più. Nel primo semestre del 2022 l’Inps ha registrato 1.080.245 dimissioni solo in Italia. Succede perché il lavoro impatta negativamente sulla vita: mancanza di apprezzamenti e riconoscimenti, scarsa motivazione, assenza di guida da parte dei responsabili, abbandono e mancanza di verifica dei risultati o pressione continua di controllo di tutti i passaggi delle attività affidate, mancanza di crescita e avanzamento di carriera, scarsa comunicazione e relazioni tossiche, assenza di incoraggiamento, stima, sostegno, confronto e stimoli per agire come gruppo e per finire retribuzione inadeguata.
Di recente è stato pubblicato il Rapporto sulle convalide delle dimissioni dal lavoro delle lavoratrici madri e lavoratori padri presso l’Ispettorato Nazionale del lavoro. Sono 37.662 le lavoratrici madri che si sono dimesse, 14.774 i lavoratori padri. Si riduce il gap tra lavoratrici madri e lavoratori padri, ma la motivazione prevalente dei padri è il passaggio ad altra azienda, mentre per le madri è la conciliazione vita-lavoro.