Per ora l'endorsement pubblico è arrivato solo da Decaro, il sindaco di Bari e presidente Anci che – davanti all'assemblea degli industriali baresi riuniti nei giorni scorsi – ha espresso parole di elogio nei suoi confronti («Finalmente sento di parlare di rimodulazione del Pnrr e non di revisione delle risorse destinate al Sud»). Ma, presto, altri endorsement potrebbero arrivare per il neo-ministro del Sud Raffaele Fitto, l'uomo al quale Gorgia Meloni ha deciso di affidare le relazioni con l'Ue e la gestione della vera cassaforte del Governo (il Pnrr). Anche i più inaspettati.
Fitto, classe '69 di Maglie, avrà molti difetti ma di certo non lo si può rimproverare di essere «inesperto». Già presidente della Regione e già ministro, più volte parlamentare europeo e nazionale, ha cominciato a fare politica con i calzoni corti quando il papà, l'indimenticato Salvatore (Totò) lo portava per mano prima nei corridoi della Democrazia Cristiana e poi in quelli della Regione, che guidò fino alla tragica scomparsa. Da allora per l'enfant prodige della politica pugliese il cammino è stato lungo, ma veloce. Irto di ostacoli (le sconfitte alle elezioni regionali, la diaspora con Berlusconi) ma anche ricco di impegni gravosi. E, certamente, spingere le Regioni a spendere bene e subito gli ingenti fondi comunitari non è impresa facile.
Il 2008, probabilmente, è l'anno che ha segnato il primo spartiacque di questa missione. Erano ancora brucianti le ferite dell'amara sconfitta subita alle urne tra anni prima a Bari, quelle regionali del 2005 che videro inaspettatamente incoronare il comunista Nichi Vendola al ruolo di governatore della Puglia. E, nella nuova veste di ministro agli Affari regionali, fu costretto a varcare nuovamente la soglia della Presidenza della Regione (sul Lungomare non ci tornava da tre anni), per incontrare Vendola e ragguagliare la Puglia sulla accelerata alla spesa dei fondi comunitari che andava data in tutto il Sud. Dopo i vari incontri istituzionali tenuti tra Roma, Bruxelles e i capoluoghi di regione dove – in virtù dell'impegno di governo – il ministro del quarto governo Berlusconi era chiamato, quella prima grande prova di reciproco rispetto istituzionale tra due acerrimi nemici, andava superata. Fu superata, a pieni voti, da entrambi. Al punto da lasciare spiazzati i cronisti, i quali si aspettavano fulmini e saette tra i due rivali pugliesi e, invece, si ritrovarono sui taccuini la guerra senza esclusione di colpi che quel Governo berlusconi ingaggiò con la Puglia di Vendola sulla spesa sanitaria, condotta però tramite un altro ministro (il titolare delle Finanze, Tremonti).
Arriva il 2010 ed è tempo di tornare in campo, nella sua Puglia, per far cadere Vendola. Fitto ci riprova, da ministro, con la candidatura del (ormai ex) fedelissimo Palese. Niente da fare. Anche in questa occasione (con uno scarto ben più evidente rispetto agli scarsi 16mila voti che lo videro sconfitto nel 2005) il centrosinistra ha la meglio, «supportato» dalla terza sfidante, Adriana Poli Bortone, che drena voti da destra. Da ministro Fitto porge le sue dimissioni per quella sconfitta «indiretta» nella sua terra, ma gli vengono respinte e, anzi, gli viene affidata la Coesione territoriale. Ci vorranno altri 4 anni prima che si consumi lo strappo con Berlusconi e la nascita, da parlamentare europeo, del proprio movimento civico.
Quindi l'adesione, nel 2018 a Fratelli d'Italia (gli scherzi del destino: l'unione con il partito che, prima nel 2010 e poi alle regionali 2015, gli aveva schierato contro proprio Poli Bortone in Puglia) e, due anni, dopo la nuova chiamata alle urne pugliesi, questa volta sotto il vessillo di Giorgia Meloni e col sostegno di un centrodestra unito (come non si vedeva da tempo). L'avversario da abbattere, nel 2020, è decisamente difficile e, infatti, anche questa volta Fitto non ce la fa: vince Michele Emiliano con uno scarto di voti decisamente più alto rispetto a quello che, contro di lui, aveva ottenuto Vendola nel 2005. Ma il patto con Meloni appare saldo e, soprattutto, c'è da portare a termine la missione di Bruxelles, dove i venti anti-europeisti e nazionalisti - attribuiti proprio a Fratelli d'Italia e Lega - vanno sedati e ridimensionati. È lui l'uomo giusto, il profilo da spendere in sede europea (dove la competenza amministrativa conta, insieme a una buona dose di moderazione come solo la Dc sapeva insegnare) per rappresentare un'Italia di centrodestra.
Veniamo all'oggi e al Governo (da molti, però, visto di destracentro) che, ancora una volta, tocca a Fitto rappresentare nelle sedi della politica economica internazionale. C'è la coesione territoriale, tra le sue deleghe, quella che ha già retto nel governo Berlusconi. Ma c'è il Pnrr, ovvero una pioggia di oltre 170 miliardi di euro da spendere su cui l'Italia gioca la sua partita del futuro anche agli occhi dell'Europa. E c'è il Sud, ovvero quella delega (forse la più pesante) che dovrà consentire all'Italia di dimostrare che il fatidico Mezzogiorno non è una zavorra che drena risorse e le sparpaglia tra la criminalità e il parassitismo, ma un pezzo d'Europa che sa marciare e resistere alla recessione in arrivo. Insomma, per il ministro Fitto ci sarà di nuovo da tornare in giro tenendo le relazioni tra la principale stazione appaltante del Pnrr (l'Europa) e i centri di spesa (le Regioni), Sud compreso. Ancora una volta dovrà varcare la soglia del Lungomare, quella della Presidenza della Regione, e – come nel 2008 – stringere mani e tenere tavoli di confronto con chi lo ha sconfitto alle urne di due anni fa, Michele Emiliano.
Difficile pronosticare se, anche questa volta, l'aplomb istituzionale e la «leale collaborazione» tra pezzi dello Stato, così come richiamata dalla Costituzione, avranno la meglio nel faccia a faccia tra i due rivali pugliesi. Emiliano non è Vendola e, al netto dei caratteri e degli approcci alla «cosa pubblica», l'esito delle regionali 2020 è stato decisamente più previsto della, del tutto inaspettata, sconfitta del 2005. Di certo, questa volta, sarà difficile assistere a endorsement e reciproci elogi pubblici. Prevarrà la prova dei fatti, ovvero quanto la macchina Regione guidata da Emiliano e la macchina Pnrr guidata da Fitto sapranno correre. E, una volta conclusi i tavoli di rito, non deviare dall'autostrada.