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Se il calciatore corrotto rientra in campo, i tifosi hanno diritto di fischiarlo

 
Gianni Di Cagno

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Gianni Di Cagno

Se il calciatore corrotto rientra in campo, i tifosi hanno diritto di fischiarlo

Dopo undici anni da quel vergognoso 15 maggio 2011, sabato prossimo quel calciatore può presentarsi di nuovo al San Nicola, a calcare il prato su cui ha sputato e davanti a tutti noi su cui pure ha sputato

Giovedì 10 Novembre 2022, 13:25

Per motivi professionali mi capita di tenere corsi di formazione di dipendenti pubblici sulla normativa anticorruzione. Dopo essermi sforzato di enumerare i concreti comportamenti cui devono attenersi dirigenti e funzionari pubblici (ma oggi anche privati) per rispettare una normativa divenuta ormai alluvionale, in genere concludo con una domanda retorica: come mai, malgrado innumerevoli regole sempre più stringenti, la corruzione continua a proliferare nel nostro Paese? E la risposta che tendo a dare rinvia all’impossibilità di stroncare il fenomeno finchè i corrotti/corruttori - prima e più che essere chiamati a rispondere in sede penale - non verranno isolati dal contesto in cui operano attraverso un vero e proprio muro di riprovazione morale.

Per rafforzare la mia tesi, in genere proietto due slide. Nella prima si vede un calciatore steso a terra nella propria area di porta: indossa una maglia bianca con bordino rosso, e si porta le mani alla testa in un gesto di disperazione, mentre il suo portiere lo guarda sbigottito. Nella seconda lo stesso calciatore è raffigurato in maglia a strisce neroazzurre, mentre sta entrando in campo nientepopodimeno che in una partita di Champions’ League. Dalle fattezze del calciatore, si capisce che tra le due immagini sono passati solo pochi anni. In realtà, quel calciatore in biancorosso steso a terra si disperava per finta: e difatti, aveva appena segnato volutamente un autogol per assicurarsi che la sua squadra venisse sconfitta. Lo aveva fatto proprio nella partita più importante dell’anno per i suoi tifosi, cioè quelli che pagando biglietti dello stadio e abbonamenti televisivi gli consentivano di percepire un lauto stipendio. E lo aveva fatto in cambio di cinquantamila euro, i trenta danari prezzo del tradimento.

Una volta scoperto, quel calciatore si è fatto qualche giorno di carcere, ha confessato, e poi ha patteggiato una condanna a due anni di reclusione (ovviamente condonata). Qualcuno potrà obiettare che si è trattato di una pena troppo blanda, ma prima che tifoso sono un operatore del diritto, come tale consapevole che il carcere non può e non deve essere l’unica risposta ai comportamenti corruttivi. Ma, appunto, se non il carcere una pena effettiva deve (dovrebbe...) pur esserci; e soprattutto, il corrotto dovrebbe avvertire lo stigma della riprovazione sociale per il proprio comportamento immorale, che lo isoli dall’ambiente che ha contribuito a deturpare. Invece, la «giustizia» sportiva ha squalificato quel calciatore corrotto per appena due anni e mezzo; e la squadra che lo aveva tesserato (che oggi viene portata ad esempio nel calcio italiano) non solo non ha avvertito il dovere morale di rescindergli il contratto, ma anzi lo ha mantenuto nei propri ranghi, ha aspettato la fine della squalifica continuando a farlo tranquillamente allenare, e infine lo ha reintegrato con tutti gli onori per non perdere il proprio investimento.

Così, dopo una lunga e prestigiosa carriera in cui avrà certo guadagnato fior di quattrini, e dopo undici anni da quel vergognoso 15 maggio 2011, sabato prossimo quel calciatore può presentarsi di nuovo al San Nicola, a calcare il prato su cui ha sputato e davanti a tutti noi su cui pure ha sputato. Ecco, dunque, perché concludo i miei corsi anticorruzione con la storia di quel calciatore. Perché le lezioni di legalità nelle scuole non servono a niente se poi sono questi gli esempi che una società offre alle sue giovani generazioni; e perché questa vicenda testimonia di quanto sia illusoria la pretesa di combattere la corruzione solo nelle aule e con gli strumenti della giustizia penale (peraltro spesso spuntati); mentre nessuno considera che la prima e più efficace condanna della corruzione dovrebbe essere quella della riprovazione morale, che venga dalla società e che isoli il corrotto dal proprio ambiente di riferimento.

Io spero che quel calciatore sia oggi una persona diversa da quello che era ieri, che abbia imparato la lezione, che sia diventato onesto, che sia sinceramente pentito del proprio vergognoso comportamento (pur se la ritrattazione della sua confessione lascia qualche dubbio...). E sia chiaro: avendo scontato le (blande) pene inflittegli, quel calciatore ha tutto il diritto di tornare a giocare al San Nicola senza che nessuno lo sfiori nemmeno con un dito. Ma sia altrettanto chiaro che anche noi, le parti offese, i tifosi traditi, abbiamo i nostri sacrosanti diritti. E dunque a nessuno venga in mente di criticarci se sabato prossimo fischieremo quel calciatore dall’inizio alla fine della partita: non faremo male a nessuno, ma ricorderemo all’Italia intera che almeno le sanzioni morali non possono andare in prescrizione, e che in questo benedetto Paese non tutto può sempre finire a tarallucci e vino.

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