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Meloni e Mattarella: il toto-ministri alla prova del fattore «m»

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

Meloni e Mattarella: il toto-ministri alla prova del fattore «m»

Detto questo, però, occorre ricordare che la formazione del governo è una responsabilità condivisa, secondo la lettera e lo spirito della Costituzione

Giovedì 13 Ottobre 2022, 13:26

Stamattina prende il via la XIX legislatura della Repubblica italiana. S’insediano le due Camere e saranno eletti i rispettivi presidenti. Gli accordi all’interno della coalizione di centrodestra, che ha vinto le elezioni, puntano su Ignazio La Russa (FdI) a Palazzo Madama e su Riccardo Molinari (Lega) a Montecitorio. In un tempo in cui vigevano un maggiore rispetto fra i partiti e un’etica istituzionale, almeno una presidenza delle Camere veniva destinata alle opposizioni. Se Giorgia Meloni avesse recuperato questa consuetudine, che è indice di un certo stile politico, avrebbe messo a tacere una volta per tutte voci e vocine malevoli.

Già dall’elezione dei vertici delle due Camere si capirà se, come dichiarano i leader dei partiti che la compongono, nella maggioranza tutto fila liscio. Il voto sarà infatti a scrutinio segreto, terreno di caccia dei «franchi tiratori». Ma la curiosità maggiore, anche a livello internazionale, riguarda il futuro governo. È scontato che il presidente della Repubblica affidi l’incarico di formarlo a Giorgia Meloni, leader del partito di maggioranza relativa. Non ci sarà bisogno di lunghe consultazioni: dalle urne è uscito un risultato molto netto che rende più rapidi gli adempimenti costituzionali. A questo punto il vero scoglio, sul quale da settimane si alternano voci, veti e vendette, è rappresentato dalla scelta dei ministri. «Voglio un governo di alto profilo», ha più volte ribadito Meloni. Non si può darle torto. Il particolare momento internazionale, la crisi economica, la sfiducia nelle istituzioni e la necessità di costruire una credibilità personale e politica non le consentono strade alternative.

Detto questo, però, occorre ricordare che la formazione del governo è una responsabilità condivisa, secondo la lettera e lo spirito della Costituzione. L’articolo 92 è chiarissimo quando dice che «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri». Non va dimenticato quindi il ruolo del Quirinale, che nel frattempo non sarà stato certo alla finestra. Per tutte le ragioni elencate prima, infatti, non è possibile immaginare in questo momento la «bocciatura» di uno o più ministri proposti dalla leader di Fratelli d’Italia. Perché è al Colle che spetta la parola ultima, a dimostrazione di quanti germogli di presidenzialismo siano sparsi nel testo costituzionale e che la nuova maggioranza si propone di voler cambiare proprio in questa direzione.

In passato è accaduto più volte che proposte del presidente del Consiglio incaricato siano state respinte dal Colle. I casi noti sono numerosi. Nel 1979 Sandro Pertini bocciò la proposta avanzata da Francesco Cossiga di portare Clelio Darida alla Difesa; no da Oscar Luigi Scalfaro a Cesare Previti proposto da Silvio Berlusconi nel 1994 come ministro della Giustizia; nel 2001 Berlusconi fece il bis incassando il no di Carlo Azeglio Ciampi a Maroni, sempre alla Giustizia; stesso ministero svanito per Nicola Gratteri, proposto nel 2014 da Renzi e bocciato da Giorgio Napolitano; anche Sergio Mattarella ha esercitato fino in fondo i suoi poteri respingendo nel 2018 la proposta avanzata da Giuseppe Conte per Paolo Savona all’Economia. Un no che fece molto scalpore e che portò la Presidenza della Repubblica a diffondere un comunicato di chiarimento, mentre i 5 Stelle proponevano l’impeachment di Mattarella. È molto probabile che i nomi cassati siano stati più numerosi, ma sono stati protetti dalla riservatezza che di solito circonda i colloqui fra presidente della Repubblica e presidente incaricato.

Sia Mattarella che Meloni si rendono conto della particolarità e della delicatezza del momento. Si ha anzi la netta sensazione che fra i due sia nato un feeling istituzionale e, infatti, Mattarella non ha esitato a fare da scudo alla presidente in pectore difendendola dalle frecciate arrivate da un paio di ministre francesi. Allo stesso tempo la ferma opposizione della Meloni a concedere il ministero dell’Interno a Salvini non sembra scevra da una moral suasion del Colle dal momento che, in quanto ancora coinvolto in un processo penale, il leader della Lega si ritroverebbe nella stessa situazione di Maroni nel 2001. Anche il suggerimento di inserire tecnici di alto profilo, là dove scarseggiano competenze da parte dei politici, appare come un’idea condivisa dai due protagonisti cui la Costituzione affida la responsabilità di formare il nuovo governo. Del resto Meloni, anche per suo orgoglio personale, ci tiene moltissimo a partire col piede giusto, ben sapendo inoltre che da ora in poi ogni suo gesto o dichiarazione sarà sotto i riflettori e potrà avere anche ricadute sui mercati: se la nomina di Mario Draghi provocò il crollo dello spread, lei non può certo permettersi di farlo salire oltre i livelli già altissimi di oggi.

Molta attesa - ma qui ci sarà bisogno di più tempo - c’è anche per come funzioneranno le Camere dopo il drastico taglio di un terzo dei parlamentari. Per ora accontentiamoci di conoscere chi guiderà le due Camere e, fra qualche giorno, come sarà il nuovo governo. Magari proprio nel centenario (28 ottobre 1922) della cosiddetta «Marcia su Roma», dando la stura a immaginabili fantasie e ironie.

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