Qualche giorno fa, girando da turista in Lucania, mi è capitato di ascoltare una storia che può essere il termometro di un certo Mezzogiorno. In Val d’Agri, dove il petrolio ormai da anni ha creato occupazione e rimpinguato le casse dei comuni grazie alle royalties, c’è chi, pur desiderando di essere assunto dalle compagnie estrattive, non ce la fa a redigere un curriculum.
L’aneddoto ricorda assai da vicino quel che viene narrato, nel 1959, in Donnarumma all’assalto di Ottiero Ottieri: un romanzo che si ambienta dentro il nascente stabilimento Olivetti di Pozzuoli, inaugurato nella primavera del 1955 e diventato, prima ancora di entrare in funzione, un termine di paragone nel dibattito su Mezzogiorno e modernità sia per l’indubitabile qualità architettonica dell’area industriale (una fabbrica tra le più belle d’Europa, che portava la firma di Luigi Cosenza), sia per la complessità dei criteri di cooptazione, che costituiscono l’argomento del romanzo.
Davanti al selezionatore del personale transita un campione variopinto della plebe disoccupata, dai nomi curiosi (Donnarumma, Dattilo, Accettura), tutti smaniosi di entrare a far parte dei ranghi della fabbrica, eppure incapaci a scrivere una banale domanda di assunzione perché analfabeti. Da qui prende significato il titolo del libro: l’assalto è quello tentato da Antonio Donnarumma dopo aver capito che le porte della fabbrica resteranno chiuse per lui.
Sono trascorsi quasi settant’anni dai fatti narrati da quel romanzo, eppure i risultati non sono così lontani: gli aspiranti operai lucani ripropongono il dilemma di Antonio Donnarumma, bravo a faticare (è questo il termine che usa, faticare non lavorare, secondo un determinato gergo sociale), ma sguarnito di questi strumenti che gli permetterebbero di accedere in quel modello di realtà industriale. Qui si tocca il cuore del discorso. Non è tanto importante sottolineare il pericolo di un analfabetismo di ritorno, piuttosto rimarcare che il Mezzogiorno, tanto nella metà degli anni Cinquanta quanto ora, dopo il passaggio del millennio, continua a denunciare i suoi limiti rispetto al progresso, a dimostrare di non essere attrezzato per la sfida, a sentirsi in ritardo rispetto all’appuntamento con la Storia e con la modernità, il solo e unico incrocio che gli consentirebbe di svoltare definitivamente pagina. La verità è che il Sud è arrivato da decenni a quell’incrocio, ma non lo ha mai attraversato. Nel frattempo, però, il mondo intorno si è ulteriormente modificato ed è per questo che ora la questione meridionale non è più un problema di risorse (c’è un enorme giacimento di petrolio sotto i piedi delle genti lucane) e nemmeno di impostazione legislativa.
Ci sarebbe da riflettere, a tal proposito, a quanto si rassomiglino le soluzioni al problema, pianificate da diversi governi e in tempi diversi, che obbedivano tutte alla strategia degli aiuti finanziari: prima la legge Zanardelli (approvata nel 1904 sotto la Presidenza del Consiglio di Giolitti che per la sola Basilicata prevedeva lo stanziamento di sessantaquattro milioni di lire), poi gli interventi della Cassa del Mezzogiorno nel secondo dopoguerra, adesso il Pnrr. Una pioggia di denaro. Il problema, a quanto pare, non è più (o non è mai stato) l’assenza di risorse, che un tempo introduceva a quell’atteggiamento di rassegnazione e di vittimismo, come se il Mezzogiorno fosse da sempre vittima di una generale distrazione da parte dello Stato. E ciò rettifica la traiettoria che bisognerebbe seguire ora, quando si discute sulla vecchia e sulla nuova «questione meridionale». Il dato che emerge con maggiore chiarezza riguarda il tema delle competenze, che per vie naturali apre al discorso delle competitività. Se le regioni meridionali denunciano ancora oggi il ritardo, i motivi si trovano non più nella mancanza di opportunità, ma nell’incapacità di saperle gestire secondo modi e forme che impongono questo nostro tempo e questo ovviamente implica una serie di riflessioni: quanto le istituzioni scolastiche e universitarie sostengono le richieste che arrivano dal mondo del lavoro? Fino a che punto esse risultano impermeabili a ciò che il mercato del lavoro richiede a gran voce?
Gli interrogativi, pur nei loro aspetti paradossali, segnano una linea di confronto, diventano cioè il discrimine tra la raffigurazione di un Mezzogiorno ormai consegnato solo alle cartoline del turismo e il baratro di una non-cultura politica, l’orrido di un ingiustificabile dilettantismo che appartiene, questo va detto fino in fondo, non ai tanti, diffusi Donnarumma che bussano alla sede dei patronati, ma alle classi dirigenti.