Il 25 aprile è la nostra festa civile di primavera: «festa d’aprile», è il titolo del canto antifascista di cui l’intellettuale torinese di origini pugliesi Franco Antonicelli scrisse il testo. Rappresentazione della nostra seconda nascita, come Paese e come popolo. Una solennità che quest’anno avremmo voluto celebrare gioiosamente dopo due anni di restrizioni e di contrasto al virus. Ma non sarà così.
La gioia della Liberazione ritrovata è messa in ombra dall’angoscia per la guerra, improvvisamente riapparsa nel nostro vicino orizzonte. Quasi facendo eco ai conflitti che si protraggono in aree lontane del pianeta, ma sovrastandoli in una drammatica precipitazione, la guerra in Ucraina, imposta dalla ingiustificabile aggressione russa, ci fa temere che sia giunta al termine la duratura era di pace che l’Europa aveva guadagnato 77 anni fa nella lotta contro il nazismo sacrificando un numero di vite umane senza precedenti. Una pacifica convivenza già orribilmente troncata dal sanguinoso conflitto iugoslavo degli anni ‘90, primo segnale di un equilibrio in disfacimento, di un’epoca di violenti riassestamenti. Questo scenario sembra oggi materializzarsi in forma definitiva, inviando minacciosi messaggi che raccontano distruzioni, città martoriate, fosse comuni, di profughi, crisi energetiche, sociali, umanitarie. Con, sullo sfondo, il fantasma nucleare evocato con inopinata leggerezza non solo dai giornali, ma dai responsabili di Stati potenti.
Per questo la pace è l’impegno di oggi. La priorità. Perché l’Italia democratica ha ripudiato la guerra. Confrontiamo pure – pacatamente – i differenti punti di vista sul rapporto fra cause immediate e cause remote, profonde, di questo come di ogni conflitto bellico (un intreccio e una distinzione che per primi i maestri della storiografia antica, Tucidide, Polibio, ci esortarono a comprendere).
Approfondiamo la discussione – sempre lecita, fuori e all’interno dell’Associazione nazionale partigiani – su un raffronto plausibile tra la resistenza dell’esercito ucraino all’invasione e la Resistenza dei partigiani al nazifascismo; ferma restando la diversità sostanziale – e non solo nel contesto della Seconda guerra mondiale – fra guerra partigiana e guerra regolare (diversità più volte sottolineata fra gli altri da Giorgio Rochat, il maggiore storico militare italiano). Ma uniamoci nell’appello alla pace. Se abbiamo chiaro che questo asperrimo conflitto non può chiudersi da nessuna parte con una «vittoria finale e definitiva», che non comporti una piega catastrofica e un prezzo di vite umane spaventosamente più alto di quello già intollerabile pagato finora, dobbiamo spingere gli organismi di sicurezza e cooperazione internazionale – primi fra tutti l’Onu (il cui stato di impasse non la rende meno indispensabile) e l’Unione Europea – affinché si prodighino con tutti i mezzi per il cessate il fuoco e per l’apertura di una trattativa garantita internazionalmente, oltre che per affrontare l’emergenza umanitaria.
È quanto chiede il Movimento per la Pace, che domani 24 aprile manifesta da Perugia ad Assisi, e che ha fatto sentire la sua voce anche in Puglia – «un’arca di pace, non un arco di guerra», così la voce profetica di don Tonino Bello. Di alto significato sono apparsi nelle settimane scorse l’incontro dei manifestanti davanti alla Basilica di San Nicola, cuore dell’ecumenismo barese, e la marcia Gravina-Altamura, che rinnovando un’antica pratica del pacifismo pugliese ha raggiunto, non a caso, il «Campo 65», luogo della memoria per eccellenza, lager, centro di addestramento, campo profughi, simbolo densissimo dei tragici destini che si sono incrociati nel turbine del conflitto mondiale.
Torniamo così al 25 aprile, momento della memoria storica. Festa, ma doverosa meditazione sulla ferocia umana da cui il nostro Paese ha potuto riscattarsi grazie alla Resistenza e all’alleanza antinazista internazionale. Giorno che non sarebbe in alcun modo «divisivo» se non si provasse, da qualche parte, a rimetterne in discussione il verdetto e il senso.
E tuttavia, la memoria pubblica non è inossidabile. Le evoluzioni e oscillazioni cui essa è soggetta possono, in assenza di cura e di adeguata cultura, perfino divergere clamorosamente dai risultati della storiografia. È il caso paradossale, recente, della giornata nazionale degli alpini, per celebrare la quale è stata scelta una data del tutto inappropriata (lo hanno rilevato le associazioni degli storici italiani), connotata dalla guerra di aggressione dei nazifascisti in terra sovietica (russa e ucraina). Non resta che continuare a studiare la storia, accrescere le occasioni di conoscere, approfondire, fare seria divulgazione. Un esempio è il «Memoriale della Resistenza», promosso dall’Anpi e curato da Gad Lerner e Laura Gnocchi, che raccoglie le interviste a centinaia di partigiani e partigiane ancora viventi.
Molto si sta facendo anche nel nostro territorio, dove non pochi giovani si applicano a ricostruire la vicenda biografica di concittadine e concittadini defunti che hanno militato nelle formazioni partigiane, in Italia e all’Estero, per richiederne il riconoscimento e lasciarne pubblica testimonianza. 25 aprile è anche amorevole dialogo col passato, sforzo di sottrarre all’oblio le vite – tanto più se umili e sconosciute – di chi ci ha dato la libertà.