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I video della guerra attraverso gli occhi dei bambini

 
Maristella Massari

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Maristella Massari

I video della guerra attraverso gli occhi dei bambini

Famiglie in fuga dalla guerra

Quella dell’informazione è ormai una esperienza immersiva a tutte le età. Con i rischi che ne conseguono

Lunedì 14 Marzo 2022, 15:39

I bambini ci guardano. Il monito si ripropone prepotentemente oggi più che mai con la guerra che irrompe nelle nostre case senza chiedere permesso. I Tg, con l’aggravarsi del conflitto, hanno alzato l’asticella del dolore. Il potere spesso è solo in mano alle crude immagini senza nessuna mediazione. Dopo la sigla, niente più titoli. Ma una breve copertina con il massacro del giorno servito un tanto al chilo. Spegnere la tv non serve a nulla. Sulla rete è anche peggio: un catalogo interminabile di macerie, corpi smembrati, distruzione. Viviamo in un tempo che non ci concede più di essere offline. Quella dell’informazione è ormai una esperienza immersiva a tutte le età. Con i rischi che ne conseguono.

Se lodevole è l’iniziativa di raccontare le atrocità della guerra, ragion per cui da ieri i giornalisti hanno un martire in più nelle loro file, altro è abdicare al proprio ruolo lasciando spazio solo allo strazio delle immagini. Quei video mandati in onda, con l’originale dell’audio di sottofondo, ci mostrano madri disperate che urlano stringendo fagotti insanguinati o cantilene lamentose di bimbi soli e sperduti su strade sconosciute, o ancora sibili sinistri di bombe che sventrano palazzi. I media, come artefatto culturale, organizzano l’esperienza umana del mondo e la loro capacità di influenza sulle nostre menti è innegabile. Stiamo però largamente sottovalutando i danni collaterali di questa guerra sui nostri figli. Sono danni che coinvolgono bambini e ragazzi già provati da due anni di isolamento sociale e di paura della malattia e della morte.

In questo tempo in cui ci è stato concesso di vivere siamo testimoni di tre grossi conflitti. Abbiamo combattuto una prima guerra, quella sanitaria, che è ancora lì a compromettere le nostre libertà e a distruggere milioni di vite. Poi c’è la guerra reale al di là dei Balcani. La terza è in casa nostra, sui nostri salotti. E’ quella in cui – loro malgrado – sono «arruolati» milioni di ragazzi sopraffatti inevitabilmente dall’atrocità di cose a cui non sanno trovare spiegazione o rimedio. E così accumulano giorno dopo giorno ansia, paura, incertezza per il futuro. La loro è una generazione che rischia di ritrovarsi in stato di sofferenza psicologica permanente. Saranno in grado e in che modo, di fronteggiare tutto questo?

Noi adulti siamo più anestetizzati di fronte alle immagini di dolore, capaci di provare empatia o orrore solo se pian piano ci viene somministrata una dose più alta dello stesso. Quella delle immagini è la nuova droga. I corpi devastati dalla ferocia della guerra quasi non ci toccano più il cuore. Ma loro, i nostri ragazzi? Fate caso ai loro volti anaffettivi chini sugli schermi degli smartphone. In quei video mandati senza filtri e senza censura, senza la parola che accompagni il racconto, c’è solo il clamore assordante della guerra. È un peso troppo grande per le loro coscienze prive di difese. Ed è un rischio per noi adulti-educatori. Senza nessuna protezione esponiamo i ragazzi all’eventualità che scambino per virtuale il reale e che colleghino le immagini della cronaca agghiacciante che arriva dalle città ucraine agli scenari truculenti dei loro videogame. Con quali effetti a medio\lungo termine? Siamo tutti consapevoli che, purtroppo, la situazione è tragica. Consci che è compito dei media raccontare la verità della guerra senza drammatizzarla o abbellirla. Rispettiamo il grande lavoro che i cronisti e gli inviati, anche pugliesi, stanno portando avanti con dedizione e coraggio a rischio della propria incolumità ma cosa possiamo raccontare ai nostri bambini di fronte a quelle scene? Il nuovo linguaggio della Tv, fatto di immagini parlanti è la vera cifra dell’attuale condizione dell’uomo e della velocizzazione dell’esperienza del mondo anche per i più piccoli. Gli effetti denunciati sono di una tale portata da autorizzare il timore di una alterazione radicale della specie in quello che il sociologo Giovanni Sartori definì qualche anno fa l’Homo Videns.

«Vediamo se, guardando le stesse fotografie, proviamo gli stessi sentimenti -  scriveva Virginia Woolf di fronte alle immagini della guerra civile spagnola, in cui uomini, animali o macerie sembravano la stessa cosa -, stiamo guardando insieme gli stessi corpi privi di vita, le stesse case in macerie». Ma a chi sono indirizzate queste immagini, solo a chi può davvero comprenderle? No, purtroppo. Per ognuno avranno una connotazione e un significato diverso, in base alla propria cultura e alla propria identità. In base, cosa ancora più dolente, all’età. 

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