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«Non rovinatevi il cenone»: 8 argomenti da evitare per non bisticciare

 
Michele Anselmi

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Michele Anselmi

«Non rovinatevi il cenone»: 8 argomenti da evitare per non bisticciare

Se cibo e vino sono buoni meglio ascoltare e sorridere dando ragione un po’ a tutti: un divertissement di Michele Anselmi

Venerdì 30 Dicembre 2022, 13:43

«Una buona cena porta alla luce tutti i lati più teneri di un individuo» teorizzò, sul finire dell’Ottocento, lo scrittore e umorista britannico Jerome Klapka Jerome. Mi piacerebbe pensare che sia così, e ogni tanto accade. Più spesso, pur partendo i convitati con le migliori intenzioni riguardo alla tenerezza, non succede. Con l’età, un po’ come il Jep Gambardella di La grande bellezza ma senza le sue giacche sgargianti, ho imparato una cosa: non vale più la pena di rovinarsi pranzi e cene di Natale o di altre feste comandate. Nell’approssimarsi del cenone di San Silvestro, ecco alcuni argomenti, diciamo otto, ai quali d’ora in poi mi sottrarrò facendo scena muta, lo giuro solennemente, di fronte ai graditi commensali, siano essi familiari, amici, fidanzate eccetera.

1) Non parlerò più dei cosiddetti «anni di piombo», intendendo per essi la stagione fetida della militanza politica violenta, spesso assassina, che contraddistinse una buona porzione dei Settanta. Chi ha bordeggiato i suddetti ambienti da giovane, non c’è nulla da fare, continuerà a pensare che quella fosse «la mia generazione», e anche oggi, ormai ultrasessantenne e pompiere, guarderà al decennio in questione con un palpito acritico di nostalgia, pensando che le Brigate Rosse (e affini) avessero un pizzico di ragione. Io, invece, lavoravo a «l’Unità» ed ero iscritto al Pci: praticamente un reazionario.

2) Non parlerò più della guerra contro l’Ucraina scatenata dalla Russia il 24 febbraio scorso. C’è sempre qualcuno che, andando indietro nel tempo e fornendo qualche documento «incontestabile», pensa che gli ucraini se la siano meritata e che Putin, neanche tanto in fondo, abbia fatto l’unica cosa che potesse fare: invadere un Paese straniero e far morire di stenti, bombe, torture e fucilazioni tanti civili innocenti.

3) Non parlerò più del conflitto israelo-palestinese. Non c’è proprio modo per confrontarsi pacificamente. O si sta con Israele (in buona misura è il mio caso) o si sta con i palestinesi (posizione maggioritaria a sinistra). Il discorso finisce sempre male, perlopiù con il tizio o la tizia pro-Hamas che si definisce «antisionista» ma non «antisemita», e però paragona l’esercito israeliano a quello nazista, come ha fatto allegramente Chef Rubio qualche settimana fa.

4) Non parlerò più di quanto siano comode Netflix o le altre piattaforme in streaming per vedere film che o non escono in sala o escono per pochi giorni nei posti più irraggiungibili (lo straordinario Living è attualmente programmato in 18 cinema in tutta Italia). C’è sempre quello che ti parla «della magia del grande schermo», del «sogno», ma poi si guarda bene dall’andare al cinema, perché deve uscire di casa, prendere l’auto, parcheggiare, pagare il biglietto, ascoltare i discorsi del vicino eccetera. Peggio: se chiude una sala perché non ci va nessuno, sostiene di solito che lo Stato dovrebbe intervenire per tenerlo aperto.

5) Non parlerò più di Sergio Leone. Lo so, piace a tutti, indistintamente, incondizionatamente, guai a eccepire, specie alla voce C’era una volta in America, per quasi tutti «un capolavoro assoluto», «il film della mia vita» (di solito fa il paio con Blade Runner). Io invece trovo quel film una sbobba indigeribile e compiaciuta. A dirlo si passa quasi per un nemico della Patria, certamente per un cine-analfabeta. Però così è per me: non mi piace proprio il cinema di Leone, da parecchi anni, cioè da quando il sempre rimpianto Tullio Kezich mi fece riflettere sui cosiddetti «cappelloni». Farei solo un’eccezione: Per un pugno di dollari, il primo western di Leone, anzi Bob Robertson, girato in economia, con forte senso dello spettacolo e idee di regia divertenti, ma copiato di sana pianta, diciamo pure pantografato sequenza per sequenza, da Yojimbo, la sfida del samurai di Kurosawa.

6) Non parlerò più del Pd che ansima, perde consensi e fa casini. Quasi tutti vorrebbero che si sciogliesse, o, in alternativa, che fosse pilotato da Elly Schlein, «una che viene da fuori». Inutile provare a dire che lo statuto di quel partito è folle, che non ha senso fare un congresso fondativo al quale non si dà poi il compito di eleggere il nuovo segretario, essendo ritenuto più «democratico» organizzare primarie finali nelle quali possono votare i generici elettori come me. Subito ti marchiano come «nostalgico» del vecchio Pci, del centralismo democratico, dei politici di professione, di una certa burocrazia interna, eccetera. Meglio soprassedere e buttarla sulla crostata.

7) Non parlerò più di Giuseppe Conte e di Mario Draghi. Anche perché, a dirla tutta, rimpiango il secondo, avrei preferito che restasse a Palazzo Chigi fino a marzo 2023, mentre il primo è diventato una sorta di «Masaniello» di sinistra dopo aver governato tranquillamente con la Lega. I due ex presidenti del Consiglio suscitano reazioni vivaci a tavola: trovi sempre l’arrabbiato che idealizza «l’avvocato del popolo» e il pragmatico che «vuoi mettere l’ex presidente della Bce?». Se poi c’è una donna che, tutto sommato, apprezza la novità «femminista» rappresentata da Giorgia Meloni capo del governo, be’ la frittata è fatta.

8) Non parlerò più di Covid e strategie per contrastarlo. D’accordo ce lo siamo presi quasi tutti, o molti di noi, tuttavia dalla Cina arrivano di nuovo notizie sconvolgenti: l’altro giorno a Malpensa un passeggero su due, e parlo solo di due aerei provenienti da quei Paese, è risultato positivo. Ripeto: uno su due. Ma ormai è passata la vulgata che i vaccini non servono a nulla («Io la quarta dose col cavolo che me la faccio»), se giri con la mascherina, anzi solo se la porti in tasca, ti prendono per fesso («Tanto è solo un raffreddore»). La sottovalutazione è generalmente bipartisan, cioè coinvolge commensali di destra e di sinistra.

CONCLUSIONI: E allora di che cosa parlare a cena con amici e parenti a forza di escludere tutto o quasi? Francamente non lo so. Magari la scelta più saggia, se cibo e vino sono buoni, è ascoltare, annuire, sorridere, dando ragione un po’ a tutti.

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