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Bari, la mostra su un secolo di packaging; Chiara Alessi: «Dai detersivi ai cioccolatini ecco la storia d’Italia»

 
Nicola Morisco

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Nicola Morisco

Bari, la mostra su un secolo di packaging; Chiara Alessi: «Dai detersivi ai cioccolatini ecco la storia d’Italia»

La curatrice dell'esposizione non ha dubbi: le confezioni del passato erano molto più creative. Inaugurazione sabato 8 novembre allo Spazio Murat

Giovedì 02 Novembre 2023, 11:47

Le pastiglie Leone nelle caratteristiche scatolette «da passeggio» agli albori del ‘900, la bottiglietta di vetro del Campari rosso nella geniale forma conica rovesciata (ideata da Fortunato Depero), la finestrella trasparente sulle confezioni di pasta Barilla, la suggestiva Coppa del Nonno, primo contenitore per gelato in plastica a iniezione (inventato da Salvatore Gregorietti, con la forma ergonomica simile a una tazzina), il detersivo per lana «Sole», inconfondibile nella sua forma a gomitolo. Non sono soltanto pezzi di storia del packaging italiano, ma oggetti che assumono vita e anima, se rapportati alla memoria di chi li ha usati o acquistati, toccati o fruiti, nelle più svariate forme di consumo.

Questi e molti altri (in totale venti) saranno gli oggetti simbolo di epoche e vissuti, nella mostra «Saperi visibili: un secolo di packaging del made in Italy», che sabato 4 novembre, alle 18, nello Spazio Murat di Bari (visitabile fino al 28 novembre a ingresso libero), inaugurerà la seconda edizione della «Biennale dei Racconti d’Impresa», organizzata e promossa dal Club delle imprese per la Cultura di Confindustria Bari e BAT (con la collaborazione e il patrocinio dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia, e il patrocinio di Comune di Bari, Università degli Studi di Bari «Aldo Moro», Università LUM «Giuseppe Degennaro», Politecnico di Bari).

La manifestazione torna a raccontare il mondo delle imprese dal punto di vista creativo e culturale, attraverso la letteratura, il teatro, il cinema, le arti visive e il design. E proprio quest’ultimo sarà al centro di un’esposizione che si può definire iconica, se rapportata a ciò che mostrerà: un percorso attraverso venti oggetti di impresa con cui interagiamo quasi ogni giorno. Un racconto di progetti, brevetti e prodotti che appartengono al nostro tempo, a partire dai primi del ‘900 sino ad oggi.

La mostra - curata da Chiara Alessi, e nata da un’idea di lei stessa, insieme a Ettore Chiurazzi, Giusy Ottonelli, Maria Laterza e Graziano Bianco - ha l’obiettivo di raccontare l’impresa italiana attraverso i suoi oggetti e le loro storie: per un’indagine su come siano stati concepiti, spesso insieme alle novità tecnologiche e allo studio dei nuovi materiali intervenuti nei processi, e come hanno attraversato il secolo scorso, al fine di raccontare cosa vi sia dietro il fare impresa. Senza dimenticare l’evoluzione sociale e culturale degli italiani, la storia della comunicazione e le ricadute sugli atteggiamenti di consumo.

Lungo un allestimento concepito in modo lineare, realizzato con scaffali industriali utili a richiamare il contesto d’impresa, si dipaneranno tra oggetti, racconti e materiali pubblicitari, i packaging - oltre ai già citati - di Bacio Perugina, le plastiche Pirelli, la lampada Parentesi di Flos progettata da Castiglioni e Manzù, le sorpresine del Mulino Bianco, i panettoni Galup, la confezione del Bialcol di Giovanni Sacchi, i vasi da contenitori riciclati di Enzo Mari per Alessi, il packaging dei dischi «La voce del padrone» di Bruno Munari, la rete da cantiere Gigan (oggi Dragon). Tutte invenzioni italiane fatte da imprese del nostro Paese diventate celebri in tutto il mondo, che testimoniano la creatività dell’impresa e dei designer italiani.

«L’esigenza di dare un involucro alle cose - spiega la curatrice Chiara Alessi - è nata con le cose stesse: proteggerle, scambiarle, trasportarle, a volte anche nasconderle, conservarle. A cui poi, col tempo, si è aggiunta un’altra funzione: raccontarle. Parliamo di saperi, al plurale, perché il packaging non riguarda soltanto il processo produttivo, la tecnologia sempre più sofisticata con cui è concepito, ma anche il design, ergonomico, funzionale, efficiente, accattivante; e non riguarda soltanto la comunicazione: identificare, informare, sintetizzare; ma anche la pubblicità: rendere memorizzabile, distinguibile, desiderabile. Perché il packaging è un messaggio, quasi sempre, il primo che riceviamo dalle cose. Ed è un esercizio di equilibrismo tra creatività, funzionalità e sostenibilità, dove nessun aspetto dovrebbe prevalere sull’altro».

Come ha selezionato gli oggetti in mostra?

«Non ci sono così tanti progetti che rispondano a questi requisiti, che considerino cioè il packaging come un elemento stesso del prodotto in esso contenuto, che ne giustifichino la nascita, ne guidino il senso, ne sfruttino le possibilità e infine, oggi più che mai, ne governino lo smaltimento. In questa mostra ne abbiamo isolati una ventina, scelti con questo doppio criterio: da una parte raccontare il packaging nella sua accezione più ampia possibile (fino ad arrivare a immaginare che persino la rete ovoidale arancione che custodisce i cantieri italiani, sia un involucro essa stessa); dall’altra raccontare un pezzo di storia del nostro Paese, degli italiani e delle italiane, attraverso gli involucri».

Questi packaging raccontano anche della nostra evoluzione?

«Viste adesso, una dopo l’altra, queste forme e i messaggi che veicolano più o meno esplicitamente, ci dicono tantissimo sull’evoluzione della nostra stessa storia di consumatori e consumatrici. Ma, va sottolineato, anche sull’involuzione: perché questo è, infine, l’ultimo dei saperi coinvolti nel packaging, forse il primo che dovremmo citare, cioè il nostro, quello con cui noi sappiamo vedere quello che sta intorno ai prodotti che consumiamo, ciò che sta oltre e prima delle cose. Nel packaging odierno non c’è più nulla di non detto, rispetto al passato, dove la creatività non doveva rispondere a questioni urgenti dal punto di vista economico o sostenibile. Ecco perché la riflessione su evoluzione e involuzione può essere duplice: oggi il nostro sforzo, nella suggestione derivante dal packaging, è per certi versi minore rispetto a un tempo».

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