BARI - Il genio, la magia, la maglia numero dieci sulle spalle, come la indossava Maradona a Napoli. Mi batte il corazon cantavano i tifosi del Bari a Pietro Maiellaro, riprendendo il coro che faceva tremare il San Paolo per Diego il divino. E non sembri un paragone ardito: perché lo «Zar» nella giornata giusta aveva poco da invidiare anche ai campionissimi. Trascinava le folle, il fantasista nato a Candela. E fu tra i primi a portare i tifosi in piazza, quando da Taranto (57 presenze e 10 gol dal 1985 all’87 con una promozione in B ed una salvezza in cadetteria) si trasferì a Bari (119 presenze e 26 reti con un salto in A e due permanenze nel massimo campionato), acuendo la rivalità già acerrima che anima il derby più antico di Puglia. Anche se, considerata partita «ad alto rischio», secondo il parere dell'Osservatorio sulle Manifestazioni Sportive, il Prefetto di Taranto ha disposto il divieto di vendita dei tagliandi ai residenti nella provincia di Bari e nella provincia di Barletta-Andria-Trani. Dunque il fascino del derby non sarà vissuto appieno sugli spalti.
Maiellaro è l’uomo copertina per eccellenza della sfida «biancorossoblu» che il Sabato Santo andrà in scena allo «Jacovone». E poco importa che non ci siano obiettivi di classifica da perseguire (i Galletti sono già promossi in B, gli jonici aritmeticamente salvi): una partita del genere racchiude motivazioni sempre speciali.
Pietro Maiellaro, che cosa significa Taranto-Bari per lei?
«La partita della mia carriera. Il Bari è la “mia” squadra, avvertivo il Della Vittoria prima ed il San Nicola poi come il teatro in cui andare in scena: in biancorosso sono arrivato in A, ho raggiunto il rendimento migliore, soprattutto ho ricevuto un affetto unico che è rimasto intatto sulla pelle. Ma a Taranto resterò per sempre grato: lì ho capito che sarei diventato un calciatore importante».
L’estate del 1987 fu infiammata dal suo passaggio dai rossoblu ai Galletti: che cosa successe?
«Con il Taranto avevamo conquistato una salvezza al cardiopalmo, superando gli spareggi non retrocedere in C contro Lazio e Campobasso. Per me fu una stagione esaltante, composi con De Vitis una strepitosa coppia d’attacco. A fine campionato, arrivarono tante richieste: sembrava dovessi approdare alla Roma e, invece, il Bari mise sul piatto un’offerta irrinunciabile. Si scatenò una guerriglia: oltre 500 tifosi sotto la sede della società, trattenermi era impossibile, ma gridavano che andassi ovunque eccetto che in biancorosso. Sarebbe dovuto venire con me pure De Vitis, ma sarebbe stato troppo. Io stesso ero titubante, poi Vincenzo Matarrese mi volle a tutti i costi. Già, il presidente aveva un debole per me: è stato una guida, un padre. Avrei dovuto esaudire il suo sogno di andare in Coppa Uefa: lasciare Bari fu un errore imperdonabile. Avevo tutto, mi lasciai convincere dall’insistenza dei procuratori e dalle lusinghe della Fiorentina».
Malgrado quel trambusto, nel 1989 segnò anche una rete al Taranto.
«Ci mancherebbe, ero a porta vuota, servito da un assist perfetto di Carlo Perrone: se avessi sbagliato, mi avrebbero disintegrato. Ed esultai: era un calcio meno ipocrita, stavamo andando in serie A, il Della Vittoria era stracolmo, perché trattenere la gioia? Il rispetto si manifesta diversamente: magari a Taranto non mi perdonano il passaggio al Bari, ma sanno che ho sempre dato tutto».
Il derby è tornato dopo oltre 29 anni: sabato avrà un sapore meno intenso date le relative motivazioni di classifica?
«Impossibile: è un confronto troppo sentito. La stortura è che potrebbero mancare i tifosi baresi, come è accaduto all’andata per i tarantini. Così si priva il calcio della sua essenza. Ma sarà partita vera: il Bari ha dimostrato già con l’Avellino che non regalerà niente, a Taranto vorranno regalarsi la passerella per la salvezza nel match più atteso. Piuttosto, sarebbe bello vedere questo derby in categorie più consone al blasone delle piazze».
Ne vede i presupposti?
«Bari li possiede tutti: la famiglia De Laurentiis sta saggiando il potenziale di una delle più importanti realtà italiane. La proprietà è consapevole che la serie B sia solo il primo passo di un progetto ambizioso. Taranto avrebbe bisogno che si convoglino risorse per mirare in alto: è una città che vive il calcio in modo viscerale».
Ma sabato chi può inventare una giocata alla Maiellaro?
«Botta è un vero numero dieci: ha classe, tecnica e generosità, ma non so se l’infortunio gli consentirà di essere in campo. Io punto su Galano: sono stato tra i suoi primi allenatori nel settore giovanile del Bari. Ha un potenziale da serie A: vedo Insigne e mi chiedo perché non abbia sfondato lui che rispetto al napoletano ha inventiva e potenza persino superiori. Può ancora arrivare in alto, con il Bari, ma ha 31 anni e non c’è tempo da perdere. Da quando è tornato in biancorosso mi sembra un po’ spento: vorrei tirargli un paio di schiaffoni per svegliarlo. Chissà, il derby può essere l’occasione giusta per dare un bel segnale».