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«Mi perseguitava da tempo e quella sera ci minacciò»: la testimonianza in aula per la morte di Cosimo Damiano Bologna

 
linda cappello

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«Mi perseguitava da tempo e quella sera ci minacciò»: la testimonianza in aula per la morte di Cosimo Damiano Bologna

Il racconto della donna «contesa» che portò alla morte del canosino, deceduto il 30 novembre 2021 all’età di 50 anni dopo due settimane di agonia

Domenica 22 Settembre 2024, 12:37

TRANI - E’ stata ascoltata a lungo nell’aula della Corte d’Assise da Trani la donna al centro del litigio poi degenerato con la morte del canosino Cosimo Damiano Bologna, deceduto il 30 novembre 2021 all’età di 50 anni dopo due settimane di agonia.

Nei giorni scorsi è entrata nel vivo l’istruttoria dibattimentale del processo, che vede come imputato il 38enne Domenico Bellafede, accusato di omicidio preterintenzionale e minaccia.

La donna, una 50enne della quale l’uomo si era infatuato, ha ricostruito tutte le fasi di ciò che accadde la sera del 14 novembre, all’interno di un locale in cui i tre si erano trovati. Ha raccontato che già da diverso tempo l’imputato le avrebbe rivolto delle avances, senza però mai essere ricambiato. Le sue attenzioni sarebbero diventate sempre più insistenti, al punto che poi la signora gli chiese di essere lasciata in pace una volta per tutte.

La situazione sembrava poi essere tornata alla normalità. Quella sera, la donna era in compagnia della vittima, con la quale da poco aveva avviato una relazione. C’erano gli amici, la musica, tutto sembrava andare per il meglio. Poi l’incontro con Bellafede, arrivato per caso anche lui nel locale.

Secondo quanto riferito, l’uomo avrebbe iniziato e rivolgere sguardi minacciosi nei confronti della coppia, dicendo poi alla vittima: «Tu non sai chi sono io, a chi appartengo. Che mi guardi a fare, io ti faccio vedere che ti combino. Tu non sei nessuno. Vieni fuori che sistemiamo la vicenda».

E ancora rivolgendosi anche alla donna: «Vi devo togliere di mezzo».

A quel punto Bellafede e Bologna escono dal locale, ma vengono divisi da alcuni passanti. Pochi istanti dopo l’imputato sale a bordo della sua auto, ma la discussione continua e decide di scendere dalla macchina, prendere sottobraccio Bologna e accompagnarlo in disparte nei pressi del locale all’angolo fra via Giuliani e via Rovetta.

Secondo la ricostruzione dell’accusa, Bellafede avrebbe colpito e poi spinto a terra il rivale, causandogli una profonda ferita alla testa. L’uomo viene poi ricoverato in gravi condizioni all’ospedale Bonomo di Andria. Morirà il 30 novembre.

Bellafede viene arrestato il 20 novembre con l’accusa di stalking e lesioni personali (concessi i domiciliari). In seguito al decesso di Bologna, però, torna di nuovo in carcere per omicidio volontario.

Il Tribunale del Riesame, in seguito al ricorso presentato dall’avvocato Sabino Di Sibio, riqualifica il reato nell’ipotesi meno grave di omicidio preterintenzionale e minacce. Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, l’imputato avrebbe fornito una versione alla quale i giudici non credono: cioè di aver agito per legittima difesa poiché Bologna gli avrebbe sferrato un pugno.

La difesa ha presentato una consulenza tecnica che sottolinea la presenza di mattonelle scivolose e disconnesse proprio sul marciapiede su cui si è verificata l’aggressione, condizioni che avrebbero potuto contribuire a far scivolare la vittima, che pare avesse bevuto.

I familiari della vittima si sono costituiti parte civile con gli avvocati Enzo Princigalli e Mariangela Malcangio. La prossima udienza è fissata per il 27 settembre.

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