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Bisceglie, le tracce anagrafiche di quei mercanti del passato venuti da lontano

 
Luca De Ceglia

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Luca De Ceglia

Bisceglie, le tracce anagrafiche di quei mercanti del passato venuti da lontano

Si spingevano oltre le loro terre d’origine e spesso non tornavano più a casa. In molti, prima di partire facevano testamento

Mercoledì 03 Gennaio 2024, 13:00

BISCEGLIE - Tracce anagrafiche di ignoti ed audaci mercanti provenienti da terre lontane, che si spingevano oltre le loro terre d’origine per affari e commercio e spesso non tornavano più a casa. Era un rischio che si metteva in conto quando si viaggiava verso mete lontane, in mare o attraverso strade impervie infestate di malfattori e di epidemie. Tant’è che molti, prima di partire facevano rogare il loro testamento.

Storie di uomini ed anche di donne che in loco con parti e nozze davano vita a nuovi nuclei familiari. Specchio di variegate ed interessanti vicende sono i documenti risalenti ai secoli scorsi che si conservano nelle parrocchie più antiche dei paesi (o che per maggiore tutela sono confluiti in un unico Archivio Storico Diocesano). Così spulciando i registri in cui sono stati annotati per secoli i battesimi, i morti ed i matrimoni ci si imbatte in un ventaglio di storie a lieto fine o naufragate per sempre, tra il Seicento e l’Ottocento.

C’è, per esempio, memoria di un caso che affiora dalle pagine manoscritte dei battesimi impartiti a Bisceglie. Nel giorno dell’Epifania del 1640 il minore Francesco Antonio Audueno (cognome omonimo a quello di Sant’Adoeno vescovo di Rouen e protettore dei normanni che eressero una chiesa a Bisceglie) fu convertito alla religione cattolica dall’abate Giuseppe Geronimo Pedone su disposizione del vescovo mons. Scala.

Si trattava di un “figliuolo di 12 anni, svetese (svedese, ndr) heretico della heresia di Martin Lutero della terra di Volgaste (?) della provincia di Pomero che prima si chiamava Cristofero, nome impostogli da chi l’ “arrobbò” (rapì, ndr) da terra per piazzarlo in questi paesi”, molto probabilmente come schiavo.

Un altro certificato, ma di morte, fu vergato dal parroco della chiesa di competenza relativo a Flaminio Devo della città di Bruxelles che spirò a Bisceglie l’8 ottobre 1770 all’età di 65 anni, ed ebbe sepoltura nella chiesa di San Lorenzo. Chi fosse e che cosa facesse costui dalle nostre parti, in quel funesto autunno di siccità e carestia, è difficile appurarlo. Lo stesso dicasi per Pietro Campsi detto Jancovich venuto dalla dirimpettaia terra albanese di Scutari e deceduto il 28 luglio 1773, a 65 anni. Invece il 10 marzo 1753, appena 20enne, morì Silvester Montesani di Castelfidardo per cause non menzionate nel certificato. Pochi mesi dopo, il 16 settembre, lo seguì nel suo triste destino il tedesco Jacobus Leyendecker. Un mercante? Un esploratore? Sta di fatto che evidentemente la peste lo colse a 35 anni.

Da Praga, invece, giunse a Bisceglie, Wenceslao Sturno, deceduto il 30 gennaio 1755 a 45 anni, la cui salma trovò accoglienza in Cattedrale. Sempre della Boemia era originario il defunto Heather Hoffmann, morto a 64 anni il 27 settembre 1732. Felice fu l’approdo a Bisceglie di Giovanni Albervich di Ragusa (un armatore?) che convolò a nozze il 15 settembre 1720 in Cattedrale con la donzella Dominica Ramunno di Vigiliae (Bisceglie).

Da una tomba priva di fiori ed abbandonata (estumulata recentemente dal Comune per ricavarne il loculo da concedere ad altri defunti) è spuntata poi in archivio la vicenda drammatica vissuta a Bisceglie da una giovane donna oriunda dell’Austria e dalla sua famiglia. Il 7 febbraio 1888, dopo aver partorito in una casa sita in via Muro Mangilli n. 21 (l’attuale via Cristoforo Colombo) a Bisceglie morì nel fiore dell’età, a 30 anni, la gentildonna Josepha Ebner de Ebenthall, lasciando vedovo in preda alla disperazione suo marito Gualtiero Wehrlin, 31 anni, possidente commerciante di manifatture in società con Antonio Scarpelli con sede in Bari.

A comparire davanti all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Bisceglie per comunicare la triste notizia del decesso furono Tommaso Albrizio, facoltoso armatore (è ipotizzabile che evidentemente conoscesse Wehrlin o fosse in affari con lui), e il concittadino Vincenzo Capurso, un semplice muratore.

Circa un anno dopo la tragedia, il nome della ditta finì tra quelle fallite ed inserite nell’elenco pubblicato nel Bollettino del Ministero dell’Agricoltura e Commercio. Le esequie furono celebrate nella parrocchia di San Nicola (non più aperta al culto), nel centro storico biscegliese, mentre la neonata Emma tre giorni dopo essere venuta alla luce “volò in cielo” (come scrisse il parroco nell’atto di morte). Il nobiluomo Giuseppe Ebner de Ebenthall e sua moglie Francesca Vareton, genitori della sfortunata Giuseppina lasciarono per sempre Bisceglie dopo la sua tumulazione nel cimitero di Bisceglie e se ne tornarono a Trieste, laddove risiedevano. È un finale che ricorda il ritorno in patria, in Germania, dopo circa mezzo secolo di glorie, dalla seconda metà dell’800 ai primi del ‘900 tra Bari e Bisceglie (con un grande stabilimento vinicolo e la fiorente attività di esportazione) delle famiglie Hausmann e Marstaller.

Questo accadeva allorquando si verificò un procedimento inverso di emigrazione dei biscegliesi verso l’estero, in particolare a Kerch in Crimea ora devastata dalla guerra contro l’Ucraina. Era il 25 settembre 1879 quando il parroco di Kerch, Giovanni Orazof, comunicò alla Cattedrale di Bisceglie l’atto di nascita e di battesimo autenticato dal Consolato, di Caterina Maffione figlia di Francesco ed Antonia Fabiano. Iniziò così la storia dei biscegliesi (il numero maggiore) e dei pugliesi che partirono verso la Russia per coltivare le terre e per pescare con le tecniche sconosciute a quel popolo.

Quell’orizzonte si rivelò però tragico, perché molti emigrati furono accusati di spionaggio dal regime comunista “staliniano” e fucilati o deportati nei Gulag. Destini diversi, avversi.

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