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Massimiliano Scagliarini
15 Maggio 2019
BARI - Non solo l’ex pm Antonio Savasta e l’ex gip Michele Nardi. Flavio D’Introno ha ribadito che anche l’altro pm di Trani, Luigi Scimè (oggi in corte d’appello a Salerno) sarebbe stato pagato per intervenire sui suoi procedimenti penali. L’imprenditore di Corato, che domani pomeriggio continuerà a rispondere alle domande dei pm nell’incidente probatorio davanti al gip di Lecce, Giovanni Gallo, ha confermato tutte le accuse: un milione e mezzo a Nardi (che per questo è in carcere a Taranto), almeno 500 mila euro a Savasta (ai domiciliari a Barletta), circa 75mila euro a Scimè consegnati sia direttamente sia attraverso i primi due.
Il dato era già emerso attraverso gli interrogatori di D’Introno, quelli che la Procura di Lecce ha inteso cristalizzare attraverso l’incidente probatorio. L’imprenditore di Corato ha depositato un lungo memoriale che riassume il senso delle numerose dichiarazioni, memoriale che presumibilmente sarà al centro del controesame da parte dei difensori degli altri indagati.
Scimè avrebbe ricevuto 30mila euro per chiedere l’archiviazione di una parte delle accuse di usura contestate a D’Introno nel processo «Fenerator» (poi concluso con una condanna definitiva in Cassazione), altri 30mila euro per far archiviare due procedimenti relativi agli attentati incendiari contro le ville della moglie dell’imprenditore (che ha così potuto incassare il risarcimento dell’assicurazione), e infine 15mila euro per chiedere il rinvio a giudizio di una delle testimoni del processo «Fenerator». Anche in questo caso, la questione verte sulle modalità di consegna dei soldi: D’Introno ha raccontato di aver pagato Scimè direttamente nel corso di un incontro a Milano, e di aver saputo che altro denaro gli sarebbe stato consegnato in altre occasioni da Savasta e da Nardi. Accuse che l’ex pm, unico tra i magistrati coinvolti a essere indagato a piede libero, ha fermamente respinto.
Nel memoriale di D’Introno si parla anche della stangata all’imprenditore Paolo Tarantini, che a sua volta ha dichiarato di aver pagato 400mila euro per far bloccare una (falsa) indagine per reati fiscali. D’Introno sarebbe infatti stato il «gancio» tra Tarantini, titolare di una agenzia di viaggi a Corato, e Nardi, cui avrebbe chiesto la cortesia di interessarsi al problema dell’indagine. Ma attraverso Tarantini, come già era emerso, D’Introno avrebbe comprato (e pagato) i biglietti per tutti i viaggi effettuati nel tempo da Nardi e Savasta, oltre che da loro parenti e amici. E sempre a proposito di Nardi, D’Introno ha raccontato dei suoi rapporti con il Vaticano: «Aveva un conto allo Ior ed era molto preoccupato della possibilità che i soldi potessero sparire. Lo aveva aperto dopo aver condotto una indagine sul Vaticano», ha spiegato l’imprenditore riferendosi all’attività di pm presso la Procura di Roma, quella che Nardi svolgeva al momento dell’arresto il 14 gennaio scorso.
L’inchiesta di Lecce sulla giustizia truccata nel Tribunale di Trani conta al momento una ventina di indagati, e ipotizza tra l’altro le accuse di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari e al falso, oltre a vari episodi di millantato credito, minacce ed estorsione. L’ipotesi è che, in cambio di soldi, alcuni magistrati fossero disponibili ad addomesticare fascicoli o a crearne alcuni per screditare testimoni. L’incidente probatorio chiesto dal procuratore Leonardo Leone de Castris e dalla pm Roberta Licci proseguirà con gli interrogatori di Savasta e del poliziotto Vincenzo Di Chiaro, anche lui finito in carcere.
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