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Dopo il ritiro delle dimissioni
Leonardo Petrocelli
24 Agosto 2018
Il sindaco di Barletta, Cannito
L’ipotesi di un ritorno al voto, ad appena due mesi dalle elezioni, sembra al momento scongiurata. Ma per il sindaco di Barletta Mino Cannito, eletto al primo turno con il supporto di dieci civiche, poi dimissionario e infine ritornato in sella dopo aver revocato la decisione, la strada rimane in salita.
La storia è nota: a far detonare la crisi barlettana, lo scindersi della maggioranza in occasione dell’elezione del Presidente del Consiglio Comunale con lo strappo degli otto consiglieri «scissionisti», frontalmente opposti ai dodici «lealisti» vicini al primo cittadino. La spaccatura, in realtà, non è mai rientrata ma anzi è divenuta irreversibile dopo che Cannito ha respinto la richiesta formulata dal «gruppo degli otto» che avrebbe voluto incassare due assessorati e la presidenza dell’assise da affidare a Giuseppe Losappio. Proposta rifiutata e tentativo di conciliazione tramontato. A complicare la faccenda, il sospetto, esternato alla «Gazzetta» dal consigliere dem Ruggiero Mennea che gli otto siano in realtà manovrati da un «commissario tecnico», individuato nella figura del consigliere regionale Filippo Caracciolo il quale, però, ha seccamente smentito.
Tensioni, accuse, veleni, sulla sfondo di una crisi irrisolta. Per sbrogliare la matassa della presidenza del Consiglio, Cannito potrebbe affidarsi alle opposizioni e in particolare al Movimento 5 Stelle nella persona della consigliera anziana Angela Carone (scelta preferita dalla maggioranza, il sindaco potrebbe indicarla espressamente) o del consigliere Antonio Coriolano, magari con l’appoggio del Pd che non dovrebbe mettersi di traverso. Superato lo scoglio, però, il problema resta, perché, potendo contare solo su se stesso e i dodici, Cannito avrebbe comunque bisogno di altri quattro voti per garantirsi un governo stabile. Dove reperirli? La prima opzione è la più ovvia: «scindere gli scissionisti», cioè recuperare unità dalle frange meno accese del gruppo dissidente (sue tre o quattro, pare, si possa lavorare). L’altra è quella di un governo in «seconda convocazione», come ai tempi di Cascella. «Non il massimo», si commenta a Palazzo di Città. Ma il ritorno al voto è uno spettro che fa ancora più paura. [leonardo petrocelli]
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