Giovedì 23 Ottobre 2025 | 02:51

Basilicata, a picco le attività artigianali: in 10 anni perse 2600 imprese

Basilicata, a picco le attività artigianali: in 10 anni perse 2600 imprese

 
Antonella Inciso

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Antonella Inciso

Basilicata, a picco le attività artigianali: in 10 anni perse 2600 imprese

Con un forte impoverimento economico soprattutto delle aree interne

Martedì 19 Agosto 2025, 09:52

La tapparella rotta, il rubinetto che perde, l’antenna della Tv che non funziona: sistemarli nei prossimi anni sarà sempre più difficile. E questo perché in Italia come in Basilicata il numero delle attività artigianali ha subito un crollo repentino. “Ci sono più avvocati che idraulici” denuncia un dossier dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre che lancia l’allarme sul crollo nel settore. Un crollo sostanziato da cifre che confermano come “negli ultimi 10 anni il numero degli artigiani presenti nel nostro Paese” abbia subito “un crollo verticale di quasi 400mila unità”. Di cui 2543 attività imprenditoriali riguardano la sola Basilicata. Insomma, secondo l’analisi della Cgia (sulla base dei dati Inps e di Infocamere) se nel 2014 sul territorio lucano si contavano 13mila 393 attività artigiane, nel 2024 il numero si è ridotto a 10mila 850. Una contrazione del 19 per cento, dunque, molto vicina a quella di regioni più grandi come la Marche (al top della classifica con una perdita del 28,1 per cento o dell’Emilia Romagna con il 25, 2 per cento) . In questi anni, quindi, a chiudere i battenti è stata una attività su cinque, mentre a livello nazionale – sottolinea la Cgia – “un artigiano su quattro ha buttato la spugna”. Dati che preoccupano e che diventano ancor più pesanti se si considera che anche nell’ultimo anno il trend è stato confermato: con 71mila 957 imprese che hanno chiuso a livello nazionale (pari al 5 per cento) e 457 attività che hanno tirato giù le saracinesche nella sola Basilicata (con una flessione del 4 per cento). Insomma, una situazione complessa che tocca tutte le attività e che riguarda l’intera Penisola anche se il Mezzogiorno è la “ripartizione geografica che ha subito le perdite più contenute”. “Va comunque segnalato che questa riduzione in parte è anche riconducibile al processo di aggregazione e acquisizione che ha interessato alcuni settori dopo le grandi crisi 2008- 2009, 2012 - 2013 e 2020 – 2021 - viene messo in luce nel dossier della Cgia - Purtroppo, questa “spinta” verso l’unione aziendale ha compresso la platea degli artigiani, ma ha contribuito positivamente ad aumentare la dimensione media delle imprese, spingendo all’insù anche la produttività di molti comparti; in particolare, del trasporto merci, del metalmeccanico, degli installatori impianti e della moda”. “E’ evidente che la mancanza di tante figure professionali di natura tecnica sia imputabile a tante criticità. A nostro avviso le principali sono: lo scarso interesse che molti giovani hanno nei confronti del lavoro manuale; la mancata programmazione formativa verificatasi in tante regioni del nostro Paese e l’incapacità di migliorare o elevare la qualità dell’orientamento scolastico che, purtroppo, è rimasto ancorato a vecchie logiche novecentesche” continua ancora l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese che spiega anche come tra le cause delle chiusure vi sia “l’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana; la feroce concorrenza esercitata nei decenni scorsi dalla grande distribuzione, il peso della burocrazia, il boom del costo degli affitti e delle tasse” e gli stessi consumatori che “hanno cambiato radicalmente il modo di fare gli acquisti preferendo il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio”. A fronte di questa situazione, però, la Cgia propone anche soluzioni come l’introduzione di “un reddito di gestione delle botteghe commerciali ed artigiane” per chi gestisce o apre una attività in particolare nei centri minori. Questo anche come forma di freno allo spopolamento.

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