SENISE Non c’è tregua per la terra assetata da Caronte. Le pietre bianche dei fiumi ardono già a prima mattina e i corsi d’acqua, anche quelli normalmente più poderosi, soffrono a causa del caldo torrido. Già, i fiumi.
Storiche vie di comunicazione, sono direttrici di percorsi già tracciati lungo le quali l’ingegneria moderna ha poggiato il bitume per realizzare le arterie di collegamento veloce che tagliano il territorio e accorciano le distanze.
In Basilicata sono quattro i fiumi principali: Basento, Bradano, Agri e Sinni. L’ultimo ha un percorso che è un libro di storia: sgorga dal ricco Monte Sirino e viaggia fino a allo Jonio; «torbido» per Isabella Morra, dalle «sinuose rive»’ per Nicola Sole. Un libro di storia che parla anche di speranze, lotte contadine e fame: quelle che riecheggiavano negli anni Settanta, quando il flusso ininterrotto del fiume venne bloccato dalla grande diga in terra battuta di Montecotugno.
Beati i popoli nati lungo il corso di un fiume. Ancora di più quelli nati «alla confluenza» di più corsi d’acqua. Come Senise, il paese incastrato da Sinni e Serapotamo.
Lungo il torrente Serapotamo si trovano luoghi che riescono a toccare punte di bellezza rinfrancante. Qui, ed è strano, la siccità e il caldo di Caronte affaticano i piccoli corsi d’acqua che, curvando, si intersecano fino ad incontrarsi definitivamente, prima che le loro particelle si perdano nel fiume maggiore e, a loro volta, nel grande lago artificiale.
La vegetazione, che in alcune zone è scarsamente curata, fa da cornice al triangolo del centro storico di Senise: da una parte, centrale, svetta imponente il campanile della Chiesa Madre, dell’anno Mille; di lato, meno tronfio, il campanile della chiesa di Santa Maria degli Angeli, conosciuta come San Francesco per il complesso monumentale adiacente.
La domenica mattina la pace ha due suoni soltanto: le campane delle due chiese in lontananza e il rumore costante dell’acqua che scorre. Ed è illuminante pensare che appoggiare la mano sulla superficie di questo oro trasparente significhi accarezzare e lasciarsi accarezzare dalla caducità immortale della natura: caducità, perché l’acqua che ti tocca non è mai la stessa e non tornerà indietro; immortale, perché è il tempo che scorre e non si ferma mai.
Il Sinni, invece, è battuto nell’imponenza della sua storia che lo voleva, un tempo, navigabile. La sua potenza è proverbiale: pochi mesi fa ha lasciato un’intera comunità senza acqua per un mese nello scorso inverno dopo essersi portato via la condotta idrica principale, ingrossato dalla pioggia e dall’apertura di un’altra diga a monte.
Ed ora? Anch’esso, in questi giorni di afa e picchi infernali, non è ancora del tutto sconfitto. È un gigante dormiente, che rallenta nella piccola diga a Cogliandrino e che blocca il suo viaggio contro la terra battuta di Montecotugno, ma che, almeno nella prima parte del suo viaggio, riesce a segnare la vita di flora e fauna lungo la valle.
È un corso d’acqua ridotto, che in alcuni punti del suo lungo percorso scompare del tutto. E che, in tempi come questi, ha difficoltà di trovare giovamento, tra gli altri, dai suoi numerosi affluenti: Frida, Rubbio, Serapotamo e Sarmento. L’acqua, la vita, il cambiamento, le radici. «E qui meglio/ mi sono riconosciuto / una docile fibra/ dell’universo/Il mio supplizio/è quando/non mi credo/in armonia». (Giuseppe Ungaretti)