POTENZA - Il paradosso che non t’aspetti è in mezzo ai boschi della Basilicata. Salvano, proteggono, curano, producono ricchezza sostenibile. Danno futuro. Sono la manna contro il cambiamento climatico e il dissesto idrogeologico. Ma finiscono sotto la mannaia della politica. Che invece trascura a vantaggio delle dannose risorse fossili. Non è un male lucano, chiariamo, visto che sale al 2% del Pil globale la spesa pubblica per i sussidi dannosi al clima. Ogni anno 1800 miliardi è la cifra impiegata per distruggere ecosistemi (il dato deriva da uno studio commissionato da due collettivi internazionali, The B Team e Business for Nature). Stringendo lo zoom sul G20, si scopre che nel 2021 i Paesi più ricchi del mondo hanno speso 693 miliardi di dollari in sussidi alle fonti fossili (più 16% rispetto al 2020). E questo dovrebbe far saltare dalla sedia tutti visto che, per un altro verso, tutto il mondo industrializzato è impegnato a sostituire gas e greggio. Un paradosso globale, appunto. Boschi e foreste sono un patrimonio essenziale, gestito attraverso il Piano regionale di forestazione. Ma quanti sanno che il Piano (60 milioni per quello del 2022) è finanziato con i soldi che derivano dalle attività estrattive di petrolio? Mentre il texas lucano aumenta volumi e business, il patrimonio forestale (gestito coi fondi dei «texani» di casa nostra) perde colpi e pezzi, pur essendo la prima diga in grado di arginare tutte le derive, non solo climatiche, che le risorse fossili causano anche nel recinto pià stretto della regione. E questo in un quadro globale dove si continua a dare denaro pubblico alle holding del greggio e del gas.
NUMERI PRIMI - Rimaniamo in casa nostra, scavando tra numeri e fatti spesso ignorati. E che pure sono la dimostrazione di come la più preziosa e benefica risorsa naturale che la Basilicata ha - non il petrolio ma la superficie boscosa - è anche la più bistrattata e ignorata. Il territorio lucano è classificato in gran parte nelle zone altimetriche di montagna e collina (47 e 45 per cento). La superficie forestale, secondo la Carta Forestale, è pari 355.409 ettari, e cioè occupa oltre un terzo della superficie totale regionale e costituisce il 4% della superficie forestale di tutta Italia. Con un coefficiente di boscosità del 42% rispetto al suo territorio complessivo, la Basilicata è tra le Regioni più «forestali» d’Italia. Nelle aree interne, il coefficiente di boscosità arriva anche al 75%. Le proprietà pubbliche rappresentano il 28,6% della superficie totale forestale, di cui il 26% appartiene a Regione, Province e Comuni; il 2,17% al Demanio, e il rimanente 0,41% alla Chiesa Cattolica.
BALSAMO PER IL CLIMA - Gli assorbimenti di carbonio delle foreste lucane (espresso in termini di Produttività ecosistemica netta, considerando cioè il bilancio netto fra il carbonio che viene assorbito dall’ecosistema forestale con i processi di assimilazione e quello che viene rilasciato all’atmosfera con i processi respiratori) è di quasi due milioni di tonnellate all’anno di CO2, corrispondente alla CO2 prodotta in un anno da 360mila persone: per intenderci, l’equivalente di una città metropolitana come Bari o se vogliamo dell’intera Provincia di Potenza.
FILIERA AZZOPPATA - Dal punto di vista economico, la filiera foresta/legno/energisi movimenta attraversa solo 500 imprese. Numero quasi irrilevante se si considerano gli altri comparti. Eppure sono 2.500 i lavoratori nell’indotto. Delle 500 imprese, 145 si occupano direttamente di silvicoltura (appena 292 addetti) e 274 sono invece classificabili come «industria del legno» (occupano 750 addetti). Dal 2017, i 18 Enti lucani delegati fino ad allora coinvolti nella governance della forestazione in Basilicata vengono sostituiti dal Consorzio di Bonifica che diventa il soggetto unico gestore. Ma questo non ha prodotto nessun miglioramento dal punto di visto dell’occupazione. Anzi.
PATTUGLIE DIMEZZATE - Nel 2022 il Piano regionale di forestazione, finanziato con 60 milioni di euro (rivenienti dalle royalty delle compagnie petrolifere) ha attivato cantieri forestali che hanno coinvolto 3.817 operai stagionali forestali. Nel 2009 la platea degli addetti era pari a 6.700. Significa che in 13 anni più di 3.800 lavoratori sono andati in pensione. Una platea dimezzata. E la revisione è che nei prossimi cinque anni andranno in pensione, senza essere sostituiti, altri 900 forestali. Un impoverimento sistematico che ha aggravato ulteriormente lo spopolamento delle aree interne. E guardando meglio anche come è suddivisa la platea dei forestali, emergono nodi strutturali difficili da sanare. La maggior parte dei lavoratori coinvolti è impegnata per 151 giornate l’anno. Ma il numero cambia, se si considera i forestali assunti con la «Legge 40» (applicata nell’area estrazioni del petrolio) utilizzati per 168 giornate; lavorano fino a 181 giornate quelli del progetto “Vie Blu”adottato dal Consorzio Alto Bradano Metaponto e Val d’Agri per la protezione degli alvei fluviali. Insomma, in una delle regioni più forestali d’Italia, la manutenzione del territorio, essenziale per le caratteristiche orografiche e per gli stress estrattivi, perde consistenza e pezzi. Un paradosso che è anche un dannazione senza ritorno.