La Procura di Bari ha chiesto per la seconda volta l’archiviazione dell’indagine sull’omicidio squadrista di Benedetto Petrone, il militante comunista 18enne ucciso la sera del 28 novembre 1977 in piazza Prefettura. Il procuratore Roberto Rossi e la pm Grazia Errede hanno identificato sei dei presunti componenti del gruppo che partecipò all’assalto, iscritti nel registro degli indagati per il reato di omicidio volontario pluriaggravato. Tuttavia “pur restando agli atti elementi quantomeno di fondato sospetto circa la partecipazione degli indagati” all’assalto, si legge nella richiesta di archiviazione, “non appare possibile allo stato formulare nei loro riguardi una fondata previsione di condanna all’esito del giudizio, non avendo l’attività di indagine svolta portato ad ulteriori elementi di prova a corredo e riscontro dei dialoghi trascritti”. La sorella di Benedetto Petrone, Porzia, e l’Anpi (associazione partigiani), difese dall’avvocato Michele Laforgia, hanno presentato opposizione. La questione sarà discussa davanti alla giudice Gabriella Pede il 9 luglio.
L’inchiesta sull’omicidio Petrone è stata riaperta nel 2019 e già una prima volta, a novembre 2022, la Procura ne aveva chiesto l’archiviazione, ritenendo il reato prescritto. Il gip, però, aveva disposto nuove indagini evidenziando la sussistenza di due aggravanti che lo rendevano non ancora prescritto: i motivi abietti e i futili motivi. I magistrati hanno quindi indagato formalmente i sei presunti componenti della squadraccia fascista e li hanno intercettati. Nelle conversazioni alcuni di loro ammettono la propria partecipazione all’assalto, rivendicandolo come “meritorio” e dicendo di essersi rivolti anche a esponenti politici nazionali di centrodestra. Ma questo, secondo la Procura, non basta a portarli alla sbarra.
Una “conclusione inaccettabile” per la sorella della vittima e l’Anpi che si sono nuovamente opposti, chiedendo di contestare anche la minorata difesa di Benny Petrone, a causa dei “problemi di deambulazione che gli impedirono di sottrarsi alla furia squadrista” e l’aggravante dei motivi politico-ideologici ed evidenziando “che il lungo tempo trascorso dai fatti non costituisce una esimente, né consente di declinare dall’obbligo costituzionale di esercizio dell’azione penale, peraltro nei confronti di persone che, distanza di quasi mezzo secolo, - scrive l’avvocato Laforgia, a cui gli indagati nelle intercettazioni fanno riferimento anche con parole minatorie - non sembrano affatto pentite, né affrancate dalle logiche eversive, violente e omertose dell’epoca”.