BARI - Non muove il braccio destro da quando è nato, vent’anni fa, e non potrà mai farlo, con conseguenze sulla scelta del lavoro e sulla gestione della vita quotidiana in generale. Una paralisi che sarebbe stata causata da un errore medico al momento del parto.
In particolare una manovra sbagliata durante il cesareo avrebbe causato un danno permanente al braccio di un neonato e ora l’ospedale dove i medici commisero quell’errore dovrà risarcire la famiglia per circa 200mila euro. Lo ha stabilito il Tribunale civile di Bari, riconoscendo il diritto dei genitori di quel bambino, oggi 20enne, ad ottenere un ristoro economico.
La vicenda risale a ottobre 2004, nell’ospedale di Altamura. Al momento della nascita, il piccolo «pativa un traumatismo del plesso brachiale - si legge negli atti - realizzatosi nell’esecuzione delle manovre estrattive effettuate durante il taglio cesareo» che gli ha provocato la «paralisi ostetrica dell’arto superiore destro».
Anni dopo la famiglia ha deciso di agire contro i medici e la direzione generale dell’ospedale, chiedendo i danni. Il procedimento dinanzi al Tribunale civile di Bari è iniziato nel 2015 e tra un tentativo - fallito - di conciliazione e cambio di giudice, ci sono voluti altri dieci anni per definire la causa, conclusasi ora con la condanna a pagare il risarcimento.
Nei mesi scorsi - a procedimento ormai incardinato - il Tribunale ha anche disposto una consulenza medico legale in base alla quale, hanno concluso i giudici, «deve ritenersi certamente sussistente il nesso causale tra le manovre effettuate durante il parto cesareo e la paralisi ostetrica riportata dal piccolo», cioè un trauma realizzato «con una forza trattiva applicata alla testa del neonato che stira di fatto il plesso brachiale causando un danno a livello tessuto nervoso».
La lesione del plesso brachiale, cioè la lesione provocata al piccolo, costituisce una complicanza rara ma possibile nel corso di un taglio cesareo (1-4%), ma «il giudice, al fine di escludere la responsabilità del medico nella suddetta ipotesi, - si legge nella sentenza - non può limitarsi a rilevare l’accertata insorgenza di “complicanze intraoperatorie”», come ha sostenuto l’ospedale, ritenendo che «alcun errore od omissione è stato commesso dal personale medico» e che invece il danno sia stato «legato a fattori intrinseci uterini e fetali stessi».
Il Tribunale, però, «deve verificare la eventuale imprevedibilità ed inevitabilità» delle complicanze, «nonché l’insussistenza del nesso causale tra la tecnica operatoria prescelta e l’insorgenza delle predette complicanze, unitamente all’adeguatezza delle tecniche scelte dal chirurgo per porvi rimedio».
In questo caso, secondo l’esperto e poi secondo il giudice, non è stata «provata né tantomeno dedotta l’inevitabilità dell’evento dannoso, ossia della “complicanza” al fine di superare la presunzione di responsabilità».
Quel danno al braccio ha causato al neonato, oggi giovane adulto, una invalidità permanente biologica pari al 25% e «presumibilmente - è il ragionamento del Tribunale - potrà comunque svolgere mansioni diverse da quelle che richiedono l’uso completo dell’arto superiore destro ovvero un lavoro “intellettuale”», con conseguente «futuro danno da riduzione della capacità lavorativa».
Tutto questo ha un valore economico che su decisione del giudice ora è stato riconosciuto alla famiglia di quel bambino, vent’anni dopo la sua nascita: 214mila euro (oltre 15mila euro di spese legali).