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Il «Vortice Maestrale» travolge il clan: a Bari pesanti condanne confermate in appello

 
Giovanni Longo

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Giovanni Longo

Il «Vortice Maestrale» travolge il clan: a Bari pesanti condanne confermate in appello

L’impianto accusatorio regge, tegola sugli Strisciuglio dopo il blitz del 2021 e 1.300 anni di carcere inflitti nel primo grado per associazione mafiosa e traffico di droga

Sabato 06 Luglio 2024, 11:51

BARI - L’impianto accusatorio ha retto anche in appello tra fisiologici sconti di pena, e sette tra assoluzioni e prescrizioni su 84 imputati. Ieri sul clan Strisciuglio, il più agguerrito in città, si è abbattuto l’ennesimo ciclone, anzi un «Vortice Maestrale» dal nome del blitz eseguito nell’aprile 2021 da polizia e carabinieri. In primo grado (nel 2023), al termine di un processo celebrato con rito abbreviato nei confronti di 121 imputati il gup del Tribunale di Bari Antonella Cafagna inflisse complessivi 1.300 anni di carcere. Considerando le condanne ormai definitive per chi non ha impugnato quel verdetto (beneficiando così di una riduzione di un sesto della pena prevista dalla riforma Cartabia); la conferma della condanne per 22 imputati; la riduzione di pena per 55 presunti affiliati al clan; sette imputati assoluti o prescritti (assistiti tra gli altri dagli avvocati Daniela Castelluzzo e Bruno Vigilanti) il conto presentato ieri è salatissimo.

Associazione mafiosa, traffico e detenzione di droga e armi, estorsioni a commercianti, lesioni e una rissa nel carcere di Bari del 2016 che coinvolse 41 detenuti con lamette e taglierini, nella quale rimasero feriti alcuni agenti penitenziari. Ecco i reati contestati dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari. Sul banco degli imputati, dicevamo, personaggi di spicco del clan de «La Luna», gruppo criminale che tende a rialzarsi dopo ogni, ciclica, operazione di polizia giudiziaria.

Definitive, dunque, le condanne (in qualche caso continuazione con altre vicende) a 20 anni di reclusione inflitti ai boss Vito Valentino, Lorenzo Caldarola, Saverio Faccilongo (che non hanno impugnato il verdetto di primo grado). Stessa pena confermata ieri in secondo grado per Giacomo Campanale e Alessandro Ruta. Leggera riduzione per i figli di Caldarola, Francesco e Ivan, condannati ieri, rispettivamente a 10 e 6 anni. A rappresentare l’accusa in aula, il sostituto procuratore generale Chiara Morfini, e i pm antimafia Daniela Chimienti e Marco D’Agostino che hanno coordinato le indagini, applicati alla Procura generale nel giudizio d’appello. I giudici (presidente Francesca La Malfa, relatore Roberto Cappitelli, giudice Vincenzo De Palma) hanno anche dichiarato la nullità della sentenza di primo grado nella parte in cui, con riferimento ai singoli reati di spaccio, la motivazione non è stata ritenuta sufficiente. Le carte sul punto tornano a un altro gup. Confermata la sentenza di primo grado anche sul fronte del risarcimento dei danni riconosciuti alle parti civili, Comune e «Libera».

Un importante punto fermo, dunque, rispetto all’indagine di polizia e carabinieri che ha ricostruito - anche grazie alle dichiarazioni di 21 pentiti - gerarchia e attività illecite del clan, dal 2015, per il controllo del territorio nei quartieri baresi Libertà, roccaforte storica del gruppo mafioso, San Paolo, San Pio-Enziteto, Santo Spirito e San Girolamo e nei comuni di Palo del Colle e Conversano. Gli investigatori hanno documentato riti di affiliazione, conflitti con altri gruppi criminali, pestaggi per punire sodali infedeli, cattivi pagatori o risolvere questioni sentimentali. Hanno ricostruito 5 anni di vita dell’organizzazione: dalle faide interne, alla sanguinosa conquista di nuovi quartieri, alla colonizzazione di alcuni comuni della provincia (Palo del Colle, Conversano e Rutigliano), all’arruolamento di nuove e giovanissime leve, cresciute per strada, affamate di «gloria criminale», affascinate dal «brand della Luna» e decise ad imporre la legge del più forte per conquistare il controllo di interi quartieri come Libertà, San Paolo, San Pio-Enziteto, Santo Spirito e San Girolamo.

Quando furono eseguiti gli arresti di 99 indagati, il procuratore Roberto Rossi e l’aggiunto Francesco Giannella, coordinatori della Dda, definirono il clan Strisciuglio «il più feroce di Bari», capace di contare su arsenali e «killer spietati pronti a seminare il terrore», spiegando che «liberare un quartiere dal gioco della malavita, dalla paura, da ricatto è un passaggio necessario in un percorso verso la piena realizzazione dei valori della convivenza e della democrazia».

Tra 90 giorni le motivazioni del verdetto giunto al termine di un processo concluso in pochi mesi e in 5 udienze.

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