BARI - «La prossima settimana partirò per il Ruanda. C’è il congresso della Fifa di cui sono membro d’onore. Rieleggeranno Infantino, che vent’anni fa era un mio collaboratore, e per me è una grande soddisfazione. Ma salirò in aereo con il cuore che mi scoppia, perché non posso dimenticare che qui a Bari lascio una famiglia e una azienda in crisi». Antonio Matarrese è stato ai vertici del calcio mondiale, ha guidato Lega Calcio (due volte: mai accaduto in Italia) e Figc, è stato vicepresidente della Fifa e della Uefa, deputato per cinque legislature dal 1976 al 1994. A 82 anni non ha perso né il gusto per la battuta né quello per le cravatte. Ma il fallimento della Finba, la holding di famiglia, e l’indagine per bancarotta aperta dalla Procura di Bari lo hanno profondamente scosso. «Con mio padre e i miei fratelli - dice - abbiamo fatto la storia di Bari. Me lo faccia dire: uno dei vanti di questa terra è la famiglia Matarrese. Io non sono un uomo di impresa, ho dedicato la vita al calcio e anche per questo mi sento ancora un ambasciatore di Bari nel mondo. Capisco che arriva per tutti il giorno di dire basta. Ma nessuno può accusare la mia famiglia di aver tolto soldi all’azienda, perché è vero esattamente il contrario. Abbiamo fatto di tutto e faremo di tutto per salvarla, questa azienda. Non scapperemo. Abbiamo una responsabilità nei confronti di tutti, a partire dalla memoria di nostro padre che da umile muratore è diventato un cavaliere del lavoro».
Presidente Matarrese, lei dice “non sono un uomo di impresa”. Però ha assunto anche lei ruoli operativi nelle società di famiglia, ruoli che le costano oggi un’indagine per bancarotta. Può spiegare cosa sta accadendo?
«È cominciato tutto dalla scomparsa di Vincenzo, nel 2016, con una forte incomprensione tra mio fratello Michele e mio nipote Beppe. E così Michele, con i figli Salvatore e Marco, decise di uscire dal gruppo. A quel punto mio fratello Amato con i miei nipoti Beppe, Salvatore e Michelino chiesero a me di mediare. Accettai di fare per sei mesi il presidente della Salvatore Matarrese, così da permettere a loro di ritrovare sintonia. Poi io sono uscito e dopo di me sono subentrati Amato come presidente e Beppe come amministratore delegato. Tra i due non c’è stato feeling anche per via di una diversa cultura aziendale. E quindi la guida dell’azienda è passata a Salvatore di Michele, che ha un carattere meno irruento rispetto al cugino, più collaborativo con la famiglia. Beppe quel punto si è ritrovato in minoranza. Il mio caro amico Michele Giura fece un piano per tenerci tutti insieme ma Beppe, non ho mai capito perché, si è opposto e l’accordo è saltato. Rotto questo equilibrio, si è aperta una crepa»...