BARI - Che il teatro Petruzzelli fosse privo del certificato di agibilità era cosa nota anche alla Procura di Bari. La circostanza spunta da un fascicolo impolverato aperto nel lontano 2014 a seguito di un esposto dei Messeni sulla asserita «sistematica lievitazione esponenziale dei costi» per ricostruire il politeama.
Il pm procede così per abuso d’ufficio. Nel mirino della magistratura inquirente barese finisce l’operato del Commissario delegato alla ricostruzione, Angelo Balducci. Diciamolo subito, le posizioni di quest’ultimo, della delegata al Commissario e dell’allora responsabile del procedimento in relazione ipotesi inizialmente formulate sono state a suo tempo tutte archiviate. Il decreto a firma dell’allora gip del Tribunale di Bari Roberto Olivieri del Castillo, firmato nel lontano 26 luglio 2016, va in questa direzione. La prescrizione, infatti, ha estinto l’eventuale reato, sempre ammesso fosse stato commesso.
«Gli elementi acquisiti integrano gli estremi del reato» di abuso d’ufficio «con il requisito della cosiddetta doppia ingiustizia», scriveva anche il pm Domenico Minardi nella richiesta di archiviazione «ma il reato è estinto per decorso del termine di prescrizione».
Recuperare quanto la Procura aveva ricostruito nel fascicolo iscritto al numero 17422/2014 delle notizie di reato, diventa interessante alla luce di quanto la Gazzetta ha raccontato ieri sulle complesse vicende urbanistiche e catastali che ruotano intorno al teatro. Ad oggi, infatti, il politeama è accatastato come «unità collabente», ovvero un rudere. Inoltre, dal 2010, quando il Consiglio comunale deliberò in autotutela di revocare unilateralmente la propria adesione al Protocollo d’Intesa del 2002 sulla ricostruzione, il bene è rimasto in un limbo, dal momento che, annunci a parte, non è mai diventato demaniale. Del resto, nonostante il proclama dell’allora sindaco Michele Emiliano («Il Consiglio comunale di Bari ha affermato che il Petruzzelli è di proprietà pubblica e che appartiene al Comune di Bari»), non sarebbe mai potuto diventarlo. Avvocatura dello Stato e Agenzia delle Entrate hanno frenato sul punto sin da subito. Facile intuire che una delibera di Consiglio comunale non è sufficiente per andare in Conservatoria dei registri immobiliari e intestare un bene. Ma, soprattutto, il politeama è tuttora privo di agibilità edilizia e urbanistica.
Quanto alla «assenza tout court del certificato di agibilità», si legge nella richiesta di archiviazione del vecchio fascicolo, nessun rilievo penale. Al massimo la fattispecie è prevista come un mero «illecito amministrativo». Illecito che, però, non risulta sia stato mai perseguito né sanzionato, come prevede il Testo unico sull’edilizia. In teoria, chi doveva perseguirlo sarebbe stato lo stesso Comune che faceva e fa usare tuttora il teatro Petruzzelli alla Fondazione.
Per ricostruire quella lontana vicenda, la guardia di finanza sente all’epoca alcune persone informate sui fatti. Tra i testimoni figurano naturalmente alcuni dirigenti del Comune. A fine ottobre 2015, il responsabile della Ripartizione urbanistica ed Edilizia privata spiega: «Questo ufficio, per quanto rilevabile in atti, non ha rilasciato alcun certificato di agibilità relativamente alla parte del compendio che costituisce il teatro Petruzzelli né tanto meno, dalla consultazione al data base dell’Amministrazione, risultano pervenute istanze in tal senso». Il tenore è identico a quanto due settimane fa lo stesso dirigente ha scritto alla famiglia proprietaria del teatro. I militari sentono anche il dirigente della ripartizione Infrastrutture, Viabilità e Opere pubbliche. Chissà che loro non ne sappiano qualcosa. Macché. «Questo ufficio non ha svolto alcun ruolo nell’ambito di riqualificazione e risanamento del teatro Petruzzelli e, nello specifico, non ha rilasciato alcun certificato di agibilità», dichiara il dirigente interpellato nel novembre 2015.
Gli investigatori ricostruiscono in quel fascicolo anche gli appalti e la messa in opera di arredi, attrezzature, impianti di illuminotecnica e macchina scenica. Il pm, nella richiesta di archiviazione annota: «I lavori di ricostruzione, osservava la guardia di finanza nella analitica nota d’indagini, erano proseguiti a totale carico dello Stato, con aggravi di spesa correlati alle varianti in corso d’opera in assenza della detta copertura finanziaria con un significativo danno erariale». Sarebbe, dunque, spuntato persino un profilo suscettibile d’interesse da parte della corte dei Conti.
Ma se, tornando al profilo penale, non è stato possibile approfondire i sospetti visto il decorso del tempo, fa riflettere che, tra i 41 milioni di euro che i proprietari debbono restituire allo Stato come stabilito dalla Corte d’Appello, c’è una quota che, per la Procura venne gonfiata illecitamente. E pensare che proprio gli stessi Messeni, assistiti dall’avvocato Ascanio Amenduni, nel lontano 2007, avevano invitato tutti i soggetti coinvolti ad «evitare danni per il pubblico erario».