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Bari, Cristiana occhi da medico e un futuro col fischietto

 
Vito Prigigallo

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Vito Prigigallo

Bari, Cristiana occhi da medico e un futuro col fischietto

«Amo le regole, state a casa. Ma alcuni sarebbero da rosso»

Sabato 11 Aprile 2020, 14:21

Il mondo messo in fuorigioco da un virus. E lei a casa a studiare. «Inutile dire che sarei stata anch’io in prima linea. Ma per ora sono qui: un mese di clausura con gran parte del tempo trascorsa sui libri. Gli ultimi, quelli sulla endocrinologia». A Cristiana Laraspata, ventisei anni, barese, tra i migliori arbitri di calcio a disposizione del Cra della Puglia, mancano pochi esami per completare gli studi in medicina.

E poi?
«Sto già pensando alla tesi. La chiederò fra qualche giorno. Psichiatria, forse. Anche se mi piacerebbe la specializzazione in anestesia e rianimazione».

L’esame in endocrinologia?
«Fra qualche giorno. Chiederò di sostenerlo, accedendo attraverso la piattaforma telematica dell’università. Sarebbe il secondo esame online».

A proposito, con i virus com’è andata?
«Malattie infettive, con la professoressa Monno: 25».

L’ultima partita diretta?
«Doveva essere il 29 febbraio, campionato Berretti di Serie C. Credo sia stata la prima gara in Italia a non essersi disputata».

Perché?
«La Sambenedettese non volle scendere a Monopoli. Non c’erano restrizioni e la notizia del rifiuto fece scalpore. Poi, l’8 marzo sarei dovuta andare a Manduria, in Promozione. Sappiamo tutti com’è andata. Sono rimasta in casa con mamma, che si occupa quasi sempre anche della spesa, e il gatto».

Studiare tra le mura domestiche è, diciamo così, la norma. Ma gli allenamenti?
«È quel che più mi manca. Abbiamo fatto un allenamento on-line, mi sento spesso con il presidente di Bari Nicola Favia e con il presidente regionale Gianni Ayroldi, ma il contatto umano con i colleghi, i nostri tecnici, i nostri dirigenti, quello non può essere sostituito da un video».

Da quasi medico, come reagisce nel vedere tanta, troppa gente che se ne va in giro, magari senza un valido motivo?
«Un paio di settimane fa, in coda al supermercato, ho quasi litigato con un tizio. Ci sono tanti matti in giro in questo momento: alcuni non capiscono, la maggior parte fa finta di non capire».

Insomma, da cartellino giallo.
«Francamente userei il rosso direttamente. Mi piacerebbe un giorno leggere uno studio di psicologia di massa su questo fenomeno. C’è un sacco di gente che dice: tanto, figurati se capita a me».

Troppi i furbetti anche nel calcio, vero?
«La simulazione è una delle cose che mi piace meno».

Come finirà nel pallone dei dilettanti?
«Non vorrei essere nei panni di chi deve decidere. Ora che sappiamo che dobbiamo stare in casa almeno fino al 3 maggio, diventa tutto più complicato. Spero che ci sia il tempo di finire la stagione in campo, anche solo con una sorta di playoff».
Molti continuano a nutrire riserve sulle partite affidate alla direzione femminile.
«Non che ve ne fosse bisogno, ma credo che l’aver affidato alla collega Stephanie Frappart la finale di Supercoppa Europea fra Chelsea e Liverpool, ha fatto crollare l’ultimo muro di diffidenza. Anche nei test atletici siamo tutte più tranquille. Io mi sento, come dire, molto normale. Sin da quando Giacomo Sassanelli mi chiamò per l’esordio in Eccellenza, sono sempre stata messa nella condizione di non avere sconti rispetto ai ragazzi».

Un avversario subdolo il coronavirus, vero?
«Francamente, all’inizio pensavo si trattasse di un contagio che potesse essere contenuto nella sola zona in cui si è sviluppato. Però non sono una di quelle che parla senza conoscere e, nel caso specifico, senza approfondire. E si è capito subito che non si trattava di una semplice influenza. Speravo fosse possibile applicare sin da subito una terapia farmacologica. Ecco perché se l’arma più efficace, anzi l’unica arma vera, che abbiamo a disposizione è stare a casa e usare tutte le precauzioni possibili, dobbiamo farlo. Finché serve».

La liberazione?
«Un aperitivo sul mare con gli amici. E un’altra bella partita di Eccellenza da arbitrare».

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