L’olio di Puglia è diventato Igp. La Commissione europea, com’è noto, ha approvato la domanda d’iscrizione dell’olio pugliese nel registro delle Indicazioni geografiche protette il 16 dicembre scorso. Un percorso lungo e affascinante, fondamentale per la piccola/grande economia locale. Un percorso che porta dritto nel cuore dell’Università di Bari. Il comitato scientifico della Igp Olio di Puglia è infatti costituito da un team multidisciplinare composto da Maria Lisa Clodoveo, docente di Tecnologie alimentari del Dipartimento interdisciplinare di Medicina, Bernardo De Gennaro e Salvatore Camposeo, docenti di marketing agroalimentare e arboricoltura del Dipartimento di Scienze agro-ambientali e territoriali.
Territorio è d’altronde la matrice dell’intero percorso che ha portato al riconoscimento dell’Igp, un percorso legislativo complesso che traduce in maniera scientifica le caratteristiche dell’olio extra vergine di oliva pugliese e tutela le sue radici che affondano nell’alimentazione tipica regionale. Un olio straordinario, come ben sappiamo, che nasce da un’unicità geo-climatica e da una complessa biodiversità ben interpretate dalla tradizione culinaria mediterranea, in una declinazione peculiare, per abbinamenti e tecniche di cottura rispettose delle materie prime e del loro valore nutrizionale e, come dicono gli addetti ai lavori, «nutraceutico».
Come si riconosca e come deve essere fatto l’olio di Puglia Igp oggi lo spiega dunque un disciplinare di produzione. Ma i docenti baresi che hanno seguito la nascita di quel disciplinare spiegano come dentro l’Indicazione geografica protetta ci sia molto più di un elenco di pratiche agricole e di trasformazione. Ecco perché leggendo tra le righe si ritrova - come spiega Maria Lisa Clodoveo, «la memoria storica millenaria di 60 milioni di piante che caratterizzano il paesaggio regionale pugliese, ricamato da chilometri di muretti a secco che delimitano la frammentata proprietà olivicola, fatta di centinaia di migliaia di agricoltori, custodi di un patrimonio materiale (gli alberi) e immateriale (le tradizioni e la cultura di un popolo e del suo territorio). Solo longeve creature come gli olivi, che hanno nutrito decine di generazioni - dice ancora l’esperta - possono raccontare come sia stato possibile far giungere fino a noi, superando rivoluzioni industriali e sconvolgimenti geo-politici, un alimento identitario della tipicità regionale, parlando la lingua delle foglie argentate mosse dal vento e delle cicale assordanti nelle lunghe e soleggiate giornate estive, complici dello sviluppo e della maturazione dei frutti, materia prima da cui nascerà l’oro liquido di Puglia, buono e che fa bene, grazie alla ricchezza di antiossidanti che ne contraddistinguono composizione e gusto».
La natura del terreno, il clima, il sapore, la tradizione: sono questi i fattori che contraddistinguono gli oli pugliesi Igo, che «sono buoni» per la «freschezza» del prodotto e che «fanno bene» per il contenuto di bio-molecole ad azione salutistica, che solo in Puglia può superare senza sforzo il limite imposto dal claim dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare. «In una filiera da anni in crisi e falcidiata da scandali e frodi, l’Igp olio di Puglia, riconoscibile dal logo raffigurante un’antica moneta romana, la personificazione della strada Traiana, simbolo dell’unità regionale e del legame tra la Puglia e la coltivazione dell’olio, è un ulteriore strumento di tutela e garanzia per i consumatori che scelgono di premiare produttori e frantoiani che si sottopongono al rigore del disciplinare ed ai controlli che si sottopongono al rigore del disciplinare ed ai controlli previsti dal regolamento di Esecuzione (UE) 2019/2202», chiosa Clodoveo.