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La variante impazzita fra Beppe e Giuseppe

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

La variante impazzita fra Beppe e Giuseppe

Due personaggi più distanti fra loro di Giuseppe Conte da Volturara Appula e Beppe Grillo da Genova sarebbe difficile trovarli anche in una commedia di Oscar Wilde

Sabato 26 Giugno 2021, 15:02

Uno calmo e compassato, l’altro istrionico e facile all’ira. Uno a suo agio nel Palazzo, l’altro nella piazza. Si erano tanto amati e ora si sono tanto armati. L’uno contro l’altro.
Due personaggi più distanti fra loro di Giuseppe Conte da Volturara Appula e Beppe Grillo da Genova sarebbe difficile trovarli anche in una commedia di Oscar Wilde. Ma proprio a questa polarità irriducibile è appeso, in una sorta di apnea politica, il futuro del Movimento 5 Stelle.
Qui le chiavi interpretative sono diverse. Si può scegliere la via personale, quella che suggerisce un irrigidimento di Conte sulle proprie posizioni e un colpire di coda di Grillo per evitare un pensionamento anticipato e tenere le mani sulla creatura che, anni fa, battezzò a colpi di vaffa. Effettivamente sono molti gli indizi che suggeriscono la bontà di questa interpretazione a cominciare dal tranello renziano che licenziò l’avvocato da Palazzo Chigi, un precedente al veleno che avrà convinto Conte a non galleggiare mai più in vita sua, ma solo a blindarsi qualunque sia l’avventura da affrontare. D’altra parte, Grillo ha esplicitato le sue intenzioni senza troppi fronzoli: «Non esiste che non abbia voce in capitolo».

Appunto. Sembra una di quelle favole in cui la regina madre non ci sta a lasciare i riflettori alla principessa in procinto di essere incoronata.
In tempi di crisi economica e di varianti Delta, tutta la faccenda appare molto poco interessante. C’è da dire che solo i partiti italiani hanno la capacità straordinaria di aprire duelli rusticani proprio nei frangenti in cui alla cittadinanza interessa tutto tranne che le beghe interne ai diversi movimenti. Ma tant’è. E allora forse, visto che ci siamo, conviene nobilitare un po’ la faccenda, magari armandosi di una prospettiva politica più che individuale. Lo scrivemmo in tempi non sospetti: Conte ha il passo del premier, il phisique du role dell’incravattato che governa la nave in piena tempesta con piglio rassicurante. Quindi Beppe Grillo non sbaglia quando accusa l’amico-nemico di aver trasformato lo Statuto pentastellato «in una roba da avvocati».

Probabilmente, Conte potrebbe trasformare l’intero Movimento in una roba da avvocati con molte regole, tanto buon senso e poco sangue. D’altra parte, Grillo - che di sangue ne ha e ne sparge - ha un grosso conto in sospeso con la storia recente. In principio furono i vaffa, poi l’opposizione irriducibile, poi il governo con la Lega, poi la svolta europeista e l’intesa col Pd e ancora l’ingresso nell’esecutivo di Draghi, impreziosito da una valanga di espulsioni e da un tragicomico balletto vengo-non vengo. Ognuna di queste giravolte è stata benedetta dall’Elevato. Ora, Conte sconterà pure il difetto di «non essere un visionario» (sempre Grillo dixit) ma la visione, questo è il punto, nessuno sa più quale sia. L’ultimo sussulto ideale era stato affidato ai fasti della transizione verde con tanto di ministero dedicato. Trombe, fanfare, annunci roboanti ma pochi risultati concreti. Lo stesso fondatore ha lasciato trapelare insoddisfazione per l’operato del povero ministro Roberto Cingolani al quale, però, andrebbe concesso quantomeno il beneficio del dubbio: è lui che non funziona o è forse la transizione a essere un spot più che una rivoluzione?

Il problema, dunque, è ideale prima ancora che personale. Sia che Conte riesca ad agguantare il M5S o che Grillo s’imponga per una forzata diarchia, il Movimento s’è preso una brutta malattia, la peggiore possibile a quelle latitudini: la crisi di identità. Di fatto, una «variante Delta» della politica per la quale, ahiloro, non esistono nemmeno vaccini.

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